14.11.07

CeT in conservatorio


Nella musica, nel panorama della natura, nel sogno notturno (come scrive nel suo Canto Notturno...Leopardi), è a qualcosa d'altro che l'uomo rende il suo omaggio, da cui aspetta: lo aspetta. Il suo entusiasmo è per qualcosa che la musica, o tutto ciò che è bello al mondo, ha destato dentro. Quando l'uomo pre-sente questo, immediatamente piega l'animo ad attendere l'altra cosa: anche davanti a ciò che può afferrare, attende un'altra cosa; afferra ciò che può afferrare, ma attende un'altra cosa.

Luigi Giussani

12.11.07

Il Professore, il Patriarca e la Verità


Per chi si fosse perso questo memorabile confronto, ripropongo il link a Radio Rdicale dell'incontro fra il card. Angelo Scola e il prof. Eugenio Scalfari tenutosi a Cortina il 25 agosto. Buon ascolto.

9.11.07

L'ultimo sospiro non è un randello


Giuliano Ferrara, Il Foglio, 9 novembre 2007

L’eulogia è un genere letterario. Un genere difficile. Questo giornale scelse dalla nascita, quasi dodici anni fa, di avere una rubrica di elogia chiamata alla Plutarco “vite parallele”. Sono i nostri appunti del dopo, che hanno una qualche relazione anche con gli “appunti per il dopo”, i brevi tentativi di ispezione nel futuro oltre la morte che abbiamo pubblicato questa estate e che presto saranno un libro. La relazione sta nel fatto che a saper parlare della morte , avvenuta o presagita come evento futuro, si riesce a capire meglio la vita. Il tutto è naturalmente molto complicato, il rischio di fallimento è sempre grande, e lo si deve correre ogni volta consapevolmente. Sapendo di che cosa si tratta.
L’eulogia ha infatti delle regole. Bisogna saper parlare di una persona che è morta. Bisogna parlarne bene, con intelligenza e compassione. Ma senza melensaggini. Il sentimentalismo, l’elogio pomposo o iperbolico, la tiritera banale e la filastrocca convenzionale escludono tatto e sincerità. Tatto e sincerità sono i due elementi che rendono credibile il ricordo, e accettabile questa violazione pubblicistica del silenzio di fronte alla fine che, di per sé, sarebbe l’unico vero suono o vibrazione capace di contenere dolore e mistero. Alla compassione è legata anche la percezione che i morti non parlano, e per quanto possa essere grande la fede nella resurrezione primizia paolina di coloro che dormono e non ci sono più, la loro facoltà di replicare, precisare, correggere, rispondere, difendersi, attaccare è rinviata, e di parecchio, per lo meno dal punto di vista del discorso pubblico, del dibattito civile.

E’ una regola elementare, semplice, che si impone alla ragione e a ogni possibile ragione del cuore, una regola che si va perdendo, con effetti talvolta grotteschi e talvolta moralmente miserabili. Capita che un giornalista o uno storico o un uomo di stato muoiano e vengano non già ricordati, con un posticipo di simpatia equilibrata da un giudizio sano, sobrio, sfumato, bensì strattonati come fossero ancora viventi, come se potessero barcamenarsi agilmente, ciò che non possono fare, tra i diversi ego di presunti eredi o di presunti denigratori. Una vita pubblica imbruttita dall’incapacità di saldare con una certa maestria, cioè con semplicità e sensibilità, i conti chiusi di un’altra vita che si estingue nella solitudine privata di ogni morte: ecco un fatto molto spiacevole, una dimensione spirituale e culturale di decadenza alla quale assistiamo sbigottiti.

Nessuna morte è un manifesto per i sopravvissuti. L’ultimo sospiro non è una bandiera da agitare o, peggio, un randello per vendette private. Nessuna morte dovrebbe essere mai messa all’incasso personale né mai dovrebbe servire a illustrare i meriti, la sapienza, l’appartenenza castale di coloro che la commentano. La morte è una delle poche cose serie e irredimibili che restano nel nostro orizzonte di senso sempre più labile, indulgente, corrivo. Trascinarla nel conto ragionieristico delle precisazioni e rettifiche a uso di chi resta è un insulto madornale al suo significato. Avvilirla con spudorate falsificazioni retoriche buone per nuove falsificazioni ideologiche o sbatterla lì come una bella occasione per il corsivismo di giornata, è piccola viltà civile e culturale. Sapete di che cosa parliamo. E siccome ne parliamo in una circostanza di lutto, in attesa che il tempo consenta di riflettere con un po’ di dignità, spenti i motori rombanti della finta agiografia e della calunnia postuma, ne parliamo senza fare nomi. Non sarebbe giusto, non sarebbe indice di compassione e di equilibrio. Vorremmo invece avere indietro il gusto vitale, responsabile e severo della commemorazione dei defunti, vecchia abitudine umana bestialmente perduta.