28.4.08

Non siamo orfani


Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.

Dante - Purg.XVII, 126 - 129

Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione
Rimini, 25.26.27 Aprile 2008

23.4.08

ORSI E RIMORSI


Ultime ANSA. Hollywood: l'orso Rocky ha ucciso il suo trainer Stephan Miller spezzandogli il collo di netto con un morso. L'associazione Amici dell'Orso Bernardo ha espresso la propria solidarietà ai parenti del carnefice.

21.4.08

Verità e Libertà


La manipolazione della verità distorce la nostra percezione della realtà ed intorbida la nostra immaginazione e le nostre aspirazioni.

Ho già menzionato le tante libertà di cui voi per vostra fortuna potete godere. L’importanza fondamentale della libertà deve essere rigorosamente salvaguardata. Non è quindi sorprendente che numerosi individui e gruppi rivendichino ad alta voce in pubblico la loro libertà. Ma la libertà è un valore delicato.

Può essere fraintesa o usata male così da non condurre alla felicità che tutti da essa ci aspettiamo, ma verso uno scenario buio di manipolazione, nel quale la nostra comprensione di noi stessi e del mondo si fa confusa o viene addirittura distorta da quanti hanno un loro progetto nascosto.

Avete notato quanto spesso la rivendicazione della libertà viene fatta, senza mai fare riferimento alla verità della persona umana? C’è chi oggi asserisce che il rispetto della libertà del singolo renda ingiusto cercare la verità, compresa la verità su che cosa sia bene. In alcuni ambienti il parlare di verità viene considerato fonte di discussioni o di divisioni e quindi da riservarsi piuttosto alla sfera privata. E al posto della verità – o meglio, della sua assenza – si è diffusa l’idea che, dando valore indiscriminatamente a tutto, si assicura la libertà e si libera la coscienza. È ciò che chiamiamo relativismo.

Ma che scopo ha una “libertà” che, ignorando la verità, insegue ciò che è falso o ingiusto? A quanti giovani è stata offerta una mano che, nel nome della libertà o dell’esperienza, li ha guidati all’assuefazione agli stupefacenti, alla confusione morale o intellettuale, alla violenza, alla perdita del rispetto per se stessi, anzi alla disperazione e così, tragicamente, al suicidio? Cari amici, la verità non è un’imposizione. Né è semplicemente un insieme di regole. È la scoperta di Uno che non ci tradisce mai; di Uno del quale possiamo sempre fidarci.

Nel cercare la verità arriviamo a vivere in base alla fede perché, in definitiva, la verità è una persona: Gesù Cristo. È questa la ragione per cui l’autentica libertà non è una scelta di “disimpegno da”. È una scelta di “impegno per”; niente di meno che uscire da se stessi e permettere di venire coinvolti nell’ “essere per gli altri” di Cristo (cfr Spe salvi, 28).


Benedetto XVI

discorso tenutosi al Seminario di Saint Joseph, Yonkers, New York Sabato, 19 aprile 2008

Qui il testo completo

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

18.4.08

Occhi di Tigre


Al Governo che si sta per formare si chiederà molto per risollevare le sorti di un Paese in crisi. Ma che compito compete a tutti noi? Da un film molto popolare di qualche anno fa, Rocky 3, possiamo trarre un suggerimento. Il pugile protagonista del film, dopo aver conquistato il titolo mondiale per la sua eccezionale grinta e umanità, smette di allenarsi con serietà e viene così sonoramente sconfitto. Il suo primo rivale, che nel frattempo gli era divenuto amico, gli rivela il motivo della sua sconfitta: «Non hai più gli occhi di tigre!». Gli propone così di ricominciare da capo. Rocky, dapprima riluttante, lo segue, smette di rimpiangere i tempi che furono e inizia a sottoporsi di nuovo ad allenamenti massacranti, in una povera palestra di Los Angeles, con ragazzini alle prime armi. Così, lui, picchiatore, cambia completamente: diventa un pugile agile e, con rinnovati “occhi di tigre”, vince l’avversario che l’aveva precedentemente battuto

L’apologo tratto dal film ben si adatta all’Italia di oggi. Il nostro Paese, distrutto dalla guerra, seppe inserirsi tra i paesi più sviluppati del mondo, grazie all’intraprendenza, alla creatività, allo spirito di sacrificio dei suoi cittadini. Oggi, dopo aver raggiunto il benessere, non sembra più in grado di affrontare la crisi perché non è disposto a rischiare ciò che ha conquistato per ricominciare da capo. Chi ha vissuto la campagna elettorale nelle piazze, ha visto che molta gente si dimostra delusa e rassegnata e riversa sulla politica tutte le colpe di una situazione carica della stanchezza esistenziale di tutti. Ben diversa appare la situazione degli extracomunitari che vivono in Italia. La voglia di costruire un futuro per loro e i loro famigliari, spesso lontani, li rende pieni di passione verso la realtà, disposti a qualunque sacrificio, voraci verso le occasioni di lavoro che italiani anche bisognosi rifiutano. La fame dà loro gli “occhi di tigre”, simili a quelli che avevamo noi anni fa. E allora, da dove ricominciare?

Nella nostra tradizione, anche prima del dopoguerra, per molti secoli, c’è stato un motivo di impegno ben più forte della stessa fame, che ha reso il nostro popolo appassionato alla realtà e capace di affrontare anche la fame. E’ stata quella fede cristiana che aiuta a scoprire la bellezza del reale, pur in mezzo a tante difficoltà e contraddizioni, che spinge a valorizzare ogni piccola possibilità per migliorare la propria condizione di vita attraverso il lavoro, che considera unica e irripetibile ogni persona, che apre al sacrificio di se stessi a vantaggio di chi si ama e del proprio popolo. E’ stata, ancora, quella passione ideale per la giustizia e per il progresso, che ha permesso di costruire condizioni di vita più dignitose per sé e per i propri simili. Contrariamente a quanto ripetono gli intellettuali che invocano il definitivo sradicarsi dalla nostra storia, solo riprendendo a vivere in modo critico e attuale questa fede o questa passione ideale, possono rinascere in noi “occhi di tigre” capaci di farci iniziare di nuovo a lottare senza dormire su allori che non ci sono più. Un’educazione a questa posizione umana è ciò che è più urgente: senza di essa poco potrà il desiderio di cambiamento che queste elezioni hanno messo in luce.

Giorgio Vittadini - Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

da www.ilsussidiario.net

Perfetto buonumore. Perfetta amarezza

Oggi scrivo io. Scrivo alle amiche e agli amici che hanno speso il loro tempo, il loro denaro, le loro energie, la loro faccia nella battaglia elettorale per la vita e contro l’aborto. Li ringrazio e voglio loro un gran bene. So che continueranno come continuerò io a pensare le cose che ci siamo dette in tante riunioni belle e che valeva la pena di tenere. Ci siamo detti che altri fanno giustamente la campagna elettorale per vincere le elezioni e noi, invece, ci siamo presentati alle elezioni per fare la campagna culturale contro il maltrattamento e la disumanizzazione della vita, tema buono per il secolo: per questo eravamo e ci consideravamo bizzarri, ed era vero. Scrivo nel segno del perfetto buonumore e di una perfetta amarezza: il buonumore è per la buona battaglia, che continua, l’amarezza è per il disastro nelle urne. La sconfitta è indubitabile, la si deve riconoscere senza riserve, senza rifugi, senza vittimismi e senza sentimentalismi. In altro contesto e totalmente diverso, beffardo e tutto e solo politico-moralistico, feci così anche nel Mugello, dove certo non ero andato a sfidare l’eroe di mani pulite per un seggio di senatore nel luogo politicamente più blindato d’Italia, e altrettanto in solitaria: quando si perde si perde, punto e basta, niente scuse. Questione di raziocinio e di stile, due cose importanti. E’ tutta mia, la piccola catastrofe della lista, e lo dico senza alcun narcisismo alla rovescia. Lo dico perché è così. Dopo il gentile rifiuto di Formigoni, una personalità politica assai meno controversa e divisiva di quanto non sia io, più capace di raccogliere uova e bombe carta e sedie che non voti, io che poi non sono da molti decenni un leader politico bensì un chiacchierone e un agitatore professionale, avrei dovuto fermarmi. Dopo lo scaltro rifiuto di Berlusconi, che se si fosse apparentato con me, “Signor Testone”, visti i fatti di campagna e il risultato, avrebbe rischiato grosso, avrei dovuto fermarmi. Parlo della lista, sia chiaro, non delle idee in cui crediamo e che sono lì da elaborare, perfezionare, adattare alla campagna di cultura e di civiltà più importante che mai. Che sono lì e che sono la stoffa di cui sarà fatto il confronto, lo scontro politico e civile dei prossimi anni. Vorrei che questo giudizio non suonasse come la sconfortante presa d’atto di una batosta, come un segno di resa. Perché non è così. Recuperate le forze, con calma e nei tempi lunghi, ma da subito, tutto è ancora da fare, c’è sempre un’intuizione da salvare, un silenzio da rompere, una intera cultura diffusa da scardinare, e anche il tempo rumoroso e inefficace della lista elettorale risulterà tutt’altro che sprecato. Ma della lista come progetto non si può salvare niente. Chiuderò l’associazione che l’ha promossa, il residuo (non molto) di bilancio lo destineremo al centro di aiuto alla vita della Mangiagalli, quello della splendida Paola Bonzi. Le donne e i giovani che hanno fatto bella questa battaglia in tante regioni e città possono cercare di mantenere un coordinamento, se lo credano, o inventarsi qualcosa di nuovo se pensino che c’è stata una semina e si deve raccogliere, oppure possono tornare alla routine, che per molti di loro è un impegno serio e generoso di lunga data sul tema della vita umana. Una cosa è per me certa. Non siamo stati battuti dal destino cinico e baro: siamo stati battuti dall’aborto. Nei tre decenni dalla sua legalizzazione in occidente, l’aborto è diventato un diritto a cui una immensa maggioranza tiene, che pochissimi vogliono vedere messo in discussione in qualunque forma, anche salvando la finale libertà di scelta delle donne, un diritto che risolve situazioni personali e che si incunea negli incubi di gravidanze considerate una malattia e un ricatto della natura, se indesiderate. E’ questa idea, primitiva e barbarica a nostro modo di vedere, che prevale e che si oppone a qualunque forza contraria. Finché si fa campagna culturale, si può sopravvivere a stento a questa spinta difensiva e d’attacco, che naturalmente è fondata anche su un ancestrale senso di colpa, ma buttarla in politica, animare il sospetto che si voglia separare il mondo secolare da questo suo compagno segreto, sia pure nella libertà di scelta, è esiziale. Lo fu nel 1981, in una contesa in cui erano impegnati il Papa e la Dc, lo è stato nella piccola scaramuccia elettorale del 2008, con noi modesti e artigianali protagonisti. E solitari.

Giuliano Ferrara

Il Foglio, 16.04.08

10.4.08

Chiarimenti

Cari lettori, ho capito di dove è nato il casino. Essendo un po' tardo di riflessi, ci sono arrivato solo alla fine. Il casino è nato da questo. L'aborto nei secoli fu un peccato. Il peccato era strettamente legato al reato, che ne dava la definizione secolarizzata. Poi con la nascita del mondo liberale, peccato e reato si sono separati. L'aborto, essendo una enormità, è arrivato alla separazione per ultimo. Dire come io ho detto che bisogna nominare le cose con il loro nome, che l'aborto è un miserabile arcaismo indegno di una civiltà liberale, e che proprio la libertà di scelta ci dà la responsabilità di fargli una lotta senza quartiere, di mancargli di rispetto senza mancare di rispetto alle persone, è intollerabile per una cultura che si fonda sulla cancellazione del peccato dal suo orizzonte etico: mi hanno risposto che "la 194 non si tocca" proprio perchè non la volevo toccare, perchè volevo e voglio fare qualcosa di diverso. Proprio perchè ho ritirato fuori da laico la questione del peccato, della colpa, mi sono preso questa condanna freudiana al piccolo e molesto e sopportabile rogo dell'ideologia. Pazienza, e in bocca al lupo. Crepi.

Giuliano Ferrara

Il Foglio, 10.04.08

8.4.08

Pare, dico pare...


Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.


Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.


Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:


e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.


Dante Alighieri, Vita Nuova

7.4.08

L'invenzione dei mostri


Certo: si può chiudere il discorso tirando in ballo le solite «frange folli», dicendo che dopotutto si tratta di non più di qualche centinaio di scalmanati, ignari della fondamentale distinzione tra la forza degli argomenti e l' uso della forza come argomento: cose che ci sono e ci saranno sempre e dovunque. Si può fare così, certo: ma sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia al pari degli struzzi. Le ripetute, violente manifestazioni inscenate ai comizi di Giuliano Ferrara, i tentativi di impedirgli di parlare, testimoniano infatti di qualcosa di diverso e di più grave. Nel vilipendio della stessa immagine fisica dell' avversario (l' evocazione insistita della sua corpulenza come sinonimo di un' anormalità più sostanziale, antropologica, che va punita), nel pregiudizio livoroso verso ciò di cui egli viene eletto a simbolo («tornatene in televisione») così come verso i supposti veri moventi delle sue opinioni («servo dei servi di Berlusconi»), in tutto questo si avverte l' eco di qualcosa che conosciamo anche troppo bene, e che non è certo patrimonio esclusivo di qualche gruppetto di esagitati. Ci sentiamo l' eco del disprezzo e della manipolazione che in Italia viene regolarmente riservato a chi non la pensa come noi. E non già dalle «frange folli», ma spessissimo dai più illustri commentatori, dai rappresentanti più accreditati della cultura. Ha un bel dire oggi con tono virtuoso Miriam Mafai (e con lei tanti altri) che se fosse stata a Bologna sarebbe stata con Giuliano Ferrara «contro coloro che con la violenza gli hanno impedito di parlare». Vorrei vedere il contrario! Ma il punto non sta qui. Non è quando si arriva alle sediate in testa e all' assalto al palco, infatti, che bisogna far sentire la propria voce. È - o meglio era, ormai - quando da mille parti si è dipinto di continuo Ferrara come una sorta di orco antiaborista, uno che voleva ricacciare le donne nella clandestinità delle mammane. Quando, piuttosto che riconoscere che le cose che il direttore del Foglio diceva, e per come le diceva, ponevano alla politica questioni tremendamente, forse insopportabilmente, serie, si è preferito invece consegnarlo in pasto alla demonizzazione estremistico-femminista nascondendosi dietro la solfa fintamente virtuosa del «ma nessuno è favorevole all' aborto in quanto tale»; lasciando quindi che lo si considerasse come un subdolo mistificatore o, nel caso migliore, uno squilibrato. Si è preferito cioè, seguire il copione abituale che in Italia caratterizza la discussione pubblica - si parli di aborto o della Costituzione, di immigrazione o di storia del fascismo -: cambiare le carte in tavola, fingere di non capire, far dire all' altro ciò che quello non ha mai detto ma che secondo noi voleva dire. Tutto pur di non prendersi l' incomodo di discuterne realmente le idee, ritenute pericolose per le certezze nostre e della nostra parte. Con il risultato inevitabile, e voluto, di far passare chi ha il solo torto di non pensarla come noi, di far passare lui, paradossalmente, come il colpevole di strumentalizzare le idee in funzione di chissà quale disegno politico. E gettando così le premesse per la costruzione della figura del nemico pubblico numero uno: attività alla quale, in Italia, per strano che possa sembrare, non sono dediti tanto gazzettieri di terz' ordine o politici senza scrupoli, ma per lo più la crema intellettuale del Paese, uomini e donne assolutamente dabbene.

Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della Sera, 6 Aprile 2008

Non ci ardeva forse il cuore..?


"La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla."

Gv 16

Rembrandt: Pilgrims at Emmaus

4.4.08

Foglio à la coque


Oggi in edicola un Foglio à la coque: numero speciale, da collezione, con le lettere dei lettori (noti e meno noti) sulle contestazioni a Giuliano Ferrara durante il comizio della Lista "Aborto? No, grazie" a Bologna.

3.4.08

Elefante alla Bismark


Giuliano Ferrara l'aveva affermato già prima di partire: "Sarà la volta buona che mi legnano" e così è successo. L'Elefantino (dopo un paio di rilanci) è dovuto fuggire dalla fitta pioggia di pomodori e uova che ieri si abbattuta su piazza Maggiore a Bologna. La causa? I soliti simpaticones dei centri sociali che predicano l'abbraccio cosmico e poi nel dialogo tête-à-tête fanno come quella tizia incazzosa di Zelig: "Quando parli con me devi stare zitta!" Forse si tratta solo di un gruppo di scalmanati, ma inevitabilmente tornano a galla le parole di Giorgio Vittadini sul Giornale del 29.02:

Perciò, occorre evitare in politica ogni atteggiamento utopico che per affermare principi morali e ideali non tiene conto delle condizioni reali in cui la politica si esprime, e percio finisce per permettere l'avvento di sistemi di potere incapaci di facilitare una convivenza libera e pacifica. Oggi, ad esempio, questo autogol può avvenire sostenendo iniziative politico-etiche sacrosante nel contenuto ma che, nei fatti, provocano solo un radicalizzarsi dialettico del dibattito e quindi una minor probabilità di poter intervenire in modo ponderato ed approfondito, oggi o in futuro, su temi non negoziabili in quanto legati alla concezione stessa della persona.