17.12.08

saggezza hollywoodiana




"Non bisogna mai contraddire una donna.
Basta aspettare: lo farà da sola"


Humphrey Bogart

12.12.08

Busillis

Oggi ancora una volta ho sentito esclamare da un collega: "Guarda che bello! Sembra finto..." (ovvero: guarda che bello, sembra una di quelle finzioni fatte così bene da sembrare vere). Domanda: è la realtà che ha smesso di essere interessante o sono gli uomini che hanno smesso di guardarla per dedicarsi a simulacri da essi stessi creati?

27.11.08

17.11.08

L’ora delle tenebre e della vergogna


C’è ancora un modo e il più grave per non considerare l’enormità che la sentenza della Cassazione ha aperto nel nostro Paese. È certamente una tragedia di proporzioni colossali che si renda legittimo l’assassinio di una persona adulta ma debole ed indifesa. È una tragedia etica e sociale di proporzioni spaventose, ma soprattutto, e questo è il punto, è la fine della nostra civiltà italica.
Una civiltà che è durata quasi tremila anni e in cui si sono sintetizzati mirabilmente il genio filosofico della grecità; il diritto romano, fonte di ordine alla convivenza universale; l’irripetibile ed irriducibile annuncio della fede, rivelazione di Dio e salvezza dell’uomo; la grande esperienza della laicità come libertà di coscienza e di ricerca. La civiltà dell’uomo e per l’uomo, indisponibile a tutto, perché disponibile solo al Mistero. La persona umana, una, unica ed irripetibile, protagonista della sua propria storia e di tutta la storia dell’umanità.
Tutto questo non esiste più. Preparato da altri eventi che si sono dispiegati negli ultimi 40 anni e hanno progressivamente annullato l’identità e la dignità della persona, quest’ultimo tratto di penna di oscuri burocrati della Magistratura italiana cancella un’epoca grandiosa.
Finisce «l’Italietta», nata male e finita peggio: piccola e quasi insignificante provincia nel grande impero della sazietà e della disperazione.
Chi può e vuole, lavori da subito alla nascita di una nuova civiltà: dovrà necessariamente avere forme e modi nuovi, inizi più umili, ma in essa dovrà battere il cuore antico, che non è stato distrutto perché non può essere distrutto. Il cuore dell’uomo infatti è indistruttibile.
In questa impresa, del far nascere finalmente quella che già Giovanni Paolo II aveva definito la «civiltà della verità e dell’amore», il popolo cristiano saprà fare la sua parte. Ed è certo che avrà accanto moltissimi uomini di buona volontà.

+ Luigi Negri, Vescovo di San Marino - Montefeltro

5.11.08

Il padrone del mondo


Era complesso e semplice come la vita: semplice nell'essenza, complesso nella creatività. Ma la prova suprema della sua straordinaria missione era rivelata in quel messaggio immortale. Non si poteva aggiungere una sola parola a ciò che lui aveva generato: le linee direttive più divergenti, infatti, convergevano in lui, punto di partenza e punto d'arrivo. Nessuno ancora pensava se egli avrebbe dato o no prova della sua immortalità; sarebbe stato certamente positivo se la vita avesse rivelato in lui il suo sommo segreto: ma non era poi così necessario. Il suo spirito, infatti, riempiva il mondo: l'individuo non era più distinto dai suoi simili e la morte era da ritenersi come un increspamento che si produce qua e là sul placido mare.

Robert Hugh Benson, Il padrone del mondo

16.10.08

Perchè nessuno ne parla?

Da www.corriere.it del 15 ottobre.


LECCO – Un cambiamento nella vita vegetativa di Eluana Englaro. Un «evento eccezionale» che potrebbe mettere in discussione la sua apparente immutabilità. Lo sostengono 25 associazioni di medici, avvocati, specialisti di stato vegetativo, oltre a familiari di pazienti, che hanno preso in esame la recente crisi emorragica che sabato scorso ha ridotto la donna in fin di vita. «Abbiamo scoperto che Eluana ha ripreso il ciclo mestruale dopo 14 anni di amenorrea», spiega Giuliano Dolce, neurologo, presidente di Vive, organizzazione che riunisce un gruppo di medici e giuristi. «Questo significa che l’ipofisi, una ghiandola importante alla base del cervello, ha ricominciato a funzionare. Non abbiamo mai osservato un caso simile. È indispensabile approfondire le cause per capire che cosa sta succedendo».


APPELLO - Questa, in generale, la riflessione, alla base dell’appello spedito lunedì alla Procura generale di Milano, firmato, oltre che da Vive, da Arco 92, associazione di parenti di persone in stato vegetativo, e dalla Federazione nazionale associazioni traumi cranici: «Sollecitiamo un nuovo intervento della magistratura sul caso Englaro», scrivono. «Alla luce di quanto avvenuto nei giorni scorsi, ci rivolgiamo al Procuratore generale della Repubblica di Milano affinché presenti senza indugio ricorso nel merito avverso il provvedimento della Corte d’appello per avere la stessa completamente disatteso i principi di diritto espressi dalla Cassazione, cui il giudice di rinvio avrebbe dovuto conformarsi». Lo scopo? Ulteriori accertamenti sullo stato vegetativo di Eluana; di fatto, cercare di impedire che venga applicato il decreto che autorizza il padre Beppino a interromperle alimentazione e idratazione artificiale.


PRECEDENTI - Non è la prima volta che esperti e familiari scendono in campo contro la sentenza Englaro. Risale allo scorso luglio un precedente appello rivolto sempre alla Procura generale di Milano. Il provvedimento venne impugnato in agosto con richiesta di sospensiva alla Corte di cassazione. La decisione è fissata per l’11 novembre. Sulla possibilità di un nuovo ricorso è certa Rosaria Elefante, giurista esperta in bioetica, del gruppo Vive: «Non ci sono dubbi, sono ancora in corso i termini perché la Procura generale possa muoversi con un ricorso nel merito». Sul fronte opposto l’avvocato Angiolini: «La Procura ha già esaurito il diritto di proporre ricorso, ora non resta che aspettare la decisione della Cassazione».


Grazia Maria Mottola

12.10.08

Le Nozze di Figaro - Teatro alla Scala 11/10/08


CHERUBINO:


Voi che sapete che cosa è amor,

donne, vedete s'io l'ho nel cor.

Quello ch'io provo vi ridirò,

è per me nuovo, capir nol so.


Sento un affetto pien di desir,

ch'ora è diletto, ch'ora è martir.

Gelo e poi sento l'alma avvampar,

e in un momento torno a gelar.


Ricerco un bene fuori di me,

non so chi'l tiene, non so cos'è.

Sospiro e gemo senza voler,

palpito e tremo senza saper.


Non trovo pace notte né dì,

ma pur mi piace languir così.

Voi che sapete che cosa è amor,

donne, vedete s'io l'ho nel cor.


Lorenzo Da Ponte, Le Nozze di Figaro, scena II, atto II


9.10.08

Facebook: amici per sempre.


Dopo aver letto l'articolo di Annalena sul quel diabolico aggeggio chiamato Facebook, mi sono armato di buona volontà e ho dato l'estremo saluto ai miei 503 amici virtuali. Dopo aver chiuso l'account è comparso però questo strano mesaggio: "Il tuo account è stato disattivato. Per riattivarlo accedi normalmente e ti invieremo una e-mail di riattivazione. Torna presto. Il Team di Facebook." Morale della favola: ho perso 503 amici virtuali, ma ho trovato un gruppo di sconosciuti altrettanto virtuali che sanno tutto di me e non vedono l'ora che torni a trovarli.

1.10.08

A proposito di testamento biologico

"Mantenere le promesse fatte ai morti, o a chiunque altro, è un ottimo proposito. Ma comincio a capire che 'il rispetto per le volontà dei defunti' è una trappola. Ieri mi sono frenato appena in tempo mentre stavo per dire, a proposito di non so che sciocchezza: 'A H. non sarebbe piaciuto'. E' un'ingiustizia verso gli altri. Presto userei 'quello che sarebbe piaciuto a H.' come strumento di tirannia domestica e i presunti gusti di H. diventerebbero una maschera, sempre più trasparente, dei miei."

C.S. Lewis, Diario di un dolore.

1.9.08

"Contessa perdono..."


IL CONTE
Contessa, perdono!

LA CONTESSA
Più docile io sono,
e dico di sì.

TUTTI
Ah, tutti contenti
saremo così.
Questo giorno di tormenti,
di capricci, e di follia,
in contenti e in allegria
solo amor può terminar.
Sposi, amici, al ballo, al gioco,
alle mine date foco!
Ed al suon di lieta marcia
corriam tutti a festeggiar!

"La musica del sublime perdono riempiva il teatro, conferendo a tutti i presenti una totale assoluzione. Tramite quel piccolo uomo, Dio riusciva a far giungere a tutti la propria voce irrefrenabilmente, rendendo più amara la mia sconfitta, ad ogni nota."

Amadeus, Miloš Forman

25.7.08

Dobbiamo incentivare la tiepidezza


da www.tempi.it

Mio caro Malacoda, in Italia è il pomeriggio di giovedì 17 luglio 2008, ti scrivo oggi perché, avendo appena ascoltato il discorso di Benedetto XVI sul molo di Barangaroo a Sydney, il suo primo saluto ai giovani della Gmg, mi sono molto preoccupato e devo correre in Australia, prima che faccia troppi danni. I giornali titoleranno sui passaggi ecologici del suo discorso, ma ti basti l’incipit sulla Chiesa per capire dove può andare a parare: «La giovane comunità cristiana si fece avanti per opporsi alla perversità della cultura che la circondava, per prendersi cura dei propri membri, per difendere la propria fede in Gesù di fronte alle ostilità e per guarire i malati. E in adempimento del comando di Cristo stesso, partirono, testimoniando la storia più grande di tutti i tempi: quella che Dio si è fatto uno di noi, che il divino è entrato nella storia umana per poterla trasformare». Non c’è di che stare tranquilli. Qui in Italia vedo che invece le cose procedono per il meglio e volevo lasciarti alcune consegne prima di partire. È in atto da tempo, nel mondo politico e culturale, un fenomeno che vorrei tu continuassi a incoraggiare: l’arte del posizionamento. Mutuata dal marketing, questa tecnica è esattamente l’opposto di quello che si chiede a un politico: prendere posizione; e consiste nel cogliere quelli che ecclesialmente si chiamerebbero i segni dei tempi (è attività non snobbata anche da molti presuli) e farli propri, o comunque assecondarli cercando di farsi trovare alla stazione giusta per quando vi passerà il treno dell’opinione pubblica o quello del potere (spesso sono due carrozze dello stesso convoglio). Un esempio, la privacy. Tutti hanno sempre pensato che il privato e l’intimo fossero realtà appunto private e intime, da non divulgare in pubblico se non attraverso quella forma di comunicazione incontrollabile – nei suoi canali di diffusione e nella sua veridicità – che è il pettegolezzo. Era costume, non legge. Era una norma non scritta, e forse per questo più rispettata. Poi c’è venuto il colpo di genio della legge sulla tutela della privacy. Il risultato è stato, oltre all’istituzione di un’Authority alla bisogna, la proliferazione incontrollata della modulistica da compilare per ogni tipo di pratica e (post hoc? propter hoc? ad hoc?) lo sputtanamento generalizzato a mezzo stampa del privato di cittadini più o meno illustri attraverso la pubblicazione delle intercettazioni: il pettegolezzo istituzionale con garanzia delle procure. Tutto questo è andato avanti per anni in nome dei superiori interessi della giustizia. Quando non si è pubblicato qualcosa, si è lasciato intendere di averlo letto e se ne è diffusa la sintesi, con il risultato che tutti gli italiani sono convinti di avere ascoltato certe telefonate della cui esistenza non hanno la minima prova se non la fiducia accordata a qualche direttore di giornale. Bene, cosa ti fa il garante italiano della privacy in questa situazione? Tace per anni, fino a ieri, mercoledì 16 luglio, quando in preda a un accesso di coraggio denuncia «la diffusione delle intercettazioni, una anomalia tutta italiana». Ecco, questo si chiama posizionamento, mettersi là dove sono già quasi tutti. È frutto di una virtù che noi dobbiamo assolutamente incoraggiare: la tiepidezza, quella pavidità mascherata da pazienza e da prudenza che fa vomitare il Nostro Nemico. So che ti fa schifo, ma quelli che lui vomita sono il nostro cibo.

Tuo affezionatissimo zio

Berlicche

Uomini e api

Mentre settimana scorsa il dibattito sulla Englaro era al suo apice, un ape è entrata dalla finestra dell'ufficio. Una mia collega mi ha implorato di non ucciderla perchè sono una razza in via d'estinzione e sono essenziali per l'equilibrio dell'ecosistema. Che qualcosa nel cervello di noi moderni sia andato in tilt mi sembra assodato, o no?

22.7.08

Le scimmie, la persona umana e lo zoologicamente corretto


da www.ilfoglio.it

Nel 1993 lo studioso di Princeton Peter Singer, con la sua collaboratrice Paola Cavalieri, fondò il Great Ape Project, il Progetto Grandi Scimmie. Singer è un bioeticista e animalista. Pensa che gli scimpanzè, gli orango (da orang-utan, in malese, per uomo della foresta) e i gorilla siano dotati di pensiero, qualunque cosa il termine “pensiero” stia ad indicare, e che abbiano una vita emozionale sviluppata, incardinata sull’autocoscienza personale: in quanto esseri sensibili, e nostri cugini primi dal punto di vista genetico, questi animali si prestano al ruolo di portabandiera della liberazione animalista, e sono i campioni giusti per la lotta zoologicamente corretta contro la schiavitù animale, contro lo specismo, una variante del razzismo altrettanto obbrobriosa. Un mese fa la commissione ambiente delle Cortes spagnole ha preso in carico il Great Ape Project e così, per la prima volta, un Parlamento nazionale ha stabilito le condizioni di libertà o di custodia al solo scopo conservativo, insomma i diritti civili, degli animali non umani dai quali secondo Darwin l’uomo discende.

Osservatori di vario conio conservatore hanno commentato: e al toro quando cominceremo a pensarci, caballeros? Ma se l’ironia è una cifra possibile, in realtà la faccenda è più complicata di quanto sembri. L’animalismo liberazionista, insomma l’ideologia radicale di tutela degli altri animali, quelli non umani, ha per sé certamente lo spirito del tempo. E pensa ai cavalli, che non dovrebbero più tirare le carrozze. Alle galline, che non dovrebbero essere ridotte in schiavitù, ovvero ristrette nei pollai e nei pollai industriali, per fare le uova che mangiamo. Ai conigli, i cui allevamenti da carne vanno distrutti. Che la faccenda si complichi anche politicamente, a sentire la denuncia dello stesso Peter Singer, lo si vede dal caso austriaco, con dieci leader animalisti detenuti da oltre un mese in condizioni legali curiose o decisamente ambigue. Non abbiamo dimenticato, d’altra parte, quella muta icona contemporanea che è l’assassino di Pim Fortuyn, un militante animalista e vegetariano integrale che non ha mai spiegato perché si sia accanito a morte contro un difensore umanista della civiltà occidentale come il politico olandese libertario e dandy. Forse non c’era alcunché da spiegare, era tutto molto chiaro.

La vicenda ideologica e militante dell’animalismo radicale va seguita meglio di quanto non si sia finora riusciti a fare, per la semplice ragione che l’amore portato al concetto di animalità o di vivente non umano, compresa la mistica del romanticismo verde, è direttamente proporzionale al disprezzo per la persona umana di cui il nostro tempo è testimone. Vi abbiamo raccontato in passato le idee di Singer sulla bioetica, ma si può e si deve fare meglio. Gli animalisti integrali sono l’avanguardia pensante, e che non ha affatto l’aria di scherzare, di un’orda barbarica capace di rinnovare la nostra civiltà. L’umanesimo è considerato una vecchia inservibile scarpa spaiata. Alla corposa e giocosa parte in commedia di uomini donne e bambini, che divorano uova e vanno allo zoo, si va sostituendo un qualche nuovo copione. Da leggere.

Giuliano Ferrara

17.7.08

Cieco, muto e infermo: nostro figlio vuol vivere.


da www.ilgiornale.it

Siamo i genitori di Andrea (e di altri 3 ragazzi) e, colpiti da quanto deciso ultimamente sulla vita di Eluana, vorremo fornire attraverso Il Giornale un contributo in merito alla comprensione della realtà.

Andrea, il nostro primogenito, ha quasi 16 anni, è handicappato grave con disabilità al 100%, non parla, non vede, non si muove volontariamente... insomma, come recita un suo certificato medico «necessita e necessiterà di assistenza continua per tutti gli atti quotidiani della vita».

Da qualche anno, grazie all'inserimento in un progetto sperimentale, ha iniziato a «dialogare» faticosamente con il mondo esterno con la tecnica della comunicazione facilitata.

Il brano che le inviamo è parte della trascrizione di un dialogo tra Andrea ed uno dei suoi dottori.

Grigio periodo di dolore è il mio. Fermamente ho chiesto a Dio di aiutarmi e di benedirmi. Ho personalmente già più volte offerto le mie sofferenze per altri e questa volta una parte devolvo a te, dottore. (...) ho tanta voglia di fare esperienze belle interiori e di amicizia ma sono dentro una condizione tale di dolore e fisica che non mi permette di fare tutto ciò che vorrei. Questo sono io: dolore e gioia allo stesso tempo. Grato sono alla vita e voglio che si sappia. Grato sono a te per le cure ed a tutti coloro che si preoccupano per me, per il mio presente e per il mio futuro. Sono dell'idea che bisogna dare più spazio a ciò che aiuta interiormente e spiritualmente. Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare. (...) Ci tengo a dire che non disdegno le cure e ciò che porta un benessere fisico e questo va tutelato, ma bene interiore porta anche benessere fisico quindi è primariamente da considerare. Grazie, ti voglio dire che sono felice di oggi e ti dono il mio grazie di cuore.

Non vogliamo giudicare assolutamente il padre di Eluana. Capiamo bene il suo dolore e, come lui subiamo la stessa lacerazione interiore quando guardiamo, ahimè troppo spesso, un figlio che soffre steso in un letto e gli siamo vicini. Non accettiamo e ci fa rabbrividire il triste moralismo infantile ed inconsapevole di tanti che giudicano la vita degna solo se di «qualità». Anche noi, presi, impregnati, dalla «mentalità dominante», riusciamo solo per brevi istanti ad intuire che le parole di nostro figlio «questo sono io: gioia e dolore allo stesso tempo» sono vere non solo per lui ma anche per noi. Esse rappresentano la realtà della condizione umana. Realtà dura, spigolosa, inaccettabile non solo per chi ha una coscienza di sé inconsapevolmente nichilista e gaudente, ma pur sempre strada per la felicità e non per una inutile spensieratezza. Sempre riprendendo le parole di Andrea: «Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare».

La battaglia è qui. È possibile essere felici come Andrea dice di essere quando tutto intorno dice che non serve cercare la felicità ma solo il divertimento e l’assenza di problemi? Rimuovere il dolore dalla vita è eliminare la Croce, sola realtà capace di trasfigurarlo in gioia. Come sempre è la Croce il vero scandalo. E quale metodo più efficace per rimuovere la Croce che eliminare chi ad essa è più vicino?

Alberto Gentili

Gabriella Mambelli

Acqua, acqua!


Dopo aver invitato a portare bottiglie d’acqua sul sagrato del Duomo di Milano contro la decisione di far morire di sete Eluana Englaro, Giuliano Ferrara sarà oggi nel capoluogo lombardo per lasciare la sua bottiglietta. L’appuntamento, pensato dal settimanale Tempi, è alle 18.30, questa sera. Oltre ai direttori del Foglio e di Tempi, hanno aderito all’iniziativa il vicepresidente del Parlamento Europeo, Mario Mauro, il direttore di Avvenire, Dino Boffo, il portavoce del Comitato Scienza e Vita, Mimmo Delle Foglie, il presidente del Movimento per la vita ambrosiano, Paolo Sorbi e Felice Achilli, presidente di Medicina e Persona. Scienza e Vita, che ha iniziato anche una raccolta firme, farà lo stesso a Roma oggi dalle 15.30 in poi in piazza del Campidoglio: “Portare una bottiglia d’acqua per Eluana e dire no alla sua condanna a morte”.

da www.ilfoglio.it

16.7.08

COSA STA ACCADENDO A ELUANA E A NOI?



La ragione quando non accetta la categoria della possibilità diventa violenta. La morte fa veramente paura. E questa paura va allontanata. Va allontanata dagli occhi e va allontanata come esistenza fisica, come ricordo. Il problema che solleva
la Englaro è questo, non è un altro.

Incontro tenutosi a Lecco martedì 15 Luglio presso il Teatro Sociale. Intervengono:

Dott.ssa Claudia Mazzuccato, ricercatrice di Diritto Penale – Università Cattolica di Milano
Prof. Giancarlo Cesana, professore di igiene generale e applicata – Università degli Studi di Milano.

Per il video clicca qui.

Anche Celentano se n'è accorto...


Lettera al Corriere di Adriano Celentano, 16 luglio 2008

Caro Direttore,

certo non è difficile immaginare il grande disagio del padre di Eluana e il dolore che, giorno dopo giorno, ha potuto devastare il suo cuore nel vedere una figlia in quello stato. Dopo sette anni di dure battaglie per liberarla dalla morte, rassegnato all'impotenza, soprattutto da parte della scienza, la disperazione lo porta a iniziare una nuova battaglia, ma stavolta non contro la morte. Contro la vita. Quella vita che senza alcuna pietà tiene imprigionata la sua amata Eluana da 16 anni. Quella vita che non vuole cessare, ma che poco per volta fa morire di dolore chi gli sta intorno. Ed è proprio questo dolore così grande, troppo grande, che spinge il padre di Eluana a combattere perché qualcuno lo aiuti a liberare la figlia. Quella figlia che in un lontano giorno gli strappò una promessa: quella di interrompere ogni trattamento di sostegno, nel caso si fosse trovata nella situazione in cui, purtroppo ancora oggi, giace dopo 16 anni.

Una battaglia quella di Beppino Englaro che racchiude una contraddizione spaventosa, ma al tempo stesso, forse, il più grande gesto d'amore che un padre possa fare per una figlia. È chiaro che, per quanto mi riguarda, essendo un credente, nel senso che do per scontato che il nostro, qui sulla terra, nel bene e nel male, non sia che un misero microscopico passaggio in confronto a quella che sarà la vera Vita! Quella vita che Dio ci ha preservato nell'eterna Bellezza. E se poi penso alle parole di Gesù quando disse che «l'uomo non è padrone neanche di uno solo dei capelli che porta in testa», non posso che essere d'accordo con chi la difende, la vita.

Ammiro quindi Giuliano Ferrara per le sue battaglie a favore della vita e spero, pur comprendendo il suo stato d'animo, signor Englaro, che le bottiglie d'acqua in piazza del Duomo aumentino. Aumentino per far aumentare il dubbio. Il dubbio in coloro che credono di non avere dubbi e quindi di scartare a priori la possibilità di un'altra vita oltre quella terrena. Una vita diversa dove non ci sono bugie e incidenti ma solo gioco e Amore. Quell'amore che la sua amata figlia non ha fatto in tempo a conoscere. E qui, solo per un attimo, vorrei mettermi nei panni di chi non crede ed è amareggiato per la triste sorte di una figlia. Così mi chiedo se qualche volta, specie in casi come questi, a uno che non crede possa venire il dubbio, che magari potrebbe esserci davvero un qualcosa che va oltre l'aridità di questo attimo fuggente trascorso sulla terra. E allora, come padre, mi domando: forse Eluana vuol dirmi di non prendere in considerazione ciò che mi chiese in un momento di spensierata giovinezza?... Forse nei luoghi dove si trova ora non soffre e magari già intravede le meraviglie del cielo?... E se, contrariamente all'apparenza, si trovasse invece in uno stato di grande serenità, in attesa del trionfale ingresso nella vita celeste? O forse, chissà, di un ritorno a questa, di vita?... E poi ancora, la cosa che più di tutti mi domanderei: e se fossi proprio io a rattristare il suo animo, per il gesto che suo padre sta per compiere?... Certo mi rendo conto che è facile parlare per chi è al di fuori della tragedia, e io mi scuso per questo, signor Englaro. Ma la mia vuole essere in qualche modo una parola di aiuto, per chi si trovasse nella sua situazione. A volte i miracoli succedono proprio quando meno te l'aspetti. Forse Eluana ha bisogno della conversione di suo padre per far sì che la sua dipartita da questo mondo avvenga in modo spontaneo e senza alcuna interruzione. O addirittura che si svegli. Si dice che la fede è un dono. Perché solo attraverso la fede succedono le cose più grandiose, e io dirò una preghiera per lei.

Nessuna pietà

Ho visto gente piangere per l'abbattimento di animali domestici. Il gesto era giustificato dal fatto che essi erano diventati un peso per le strutture e un costo inutile nel budget complessivo. Adesso siamo di fronte ad una donna, ma la nostra umanità è come impallidita, assuefatta; incapace di vedere la stessa umanità che c'è in lei. E così nessuno piange. "E' un atto di pietà", riecheggia il mondo di etere e carta, ma nessuna lacrima, nessuna pietà.

13.7.08

ACQUA PER ELUANA

Dal Foglio di oggi:


Clicca sull'immagine per leggere l'articolo.

12.7.08

«L’agonia di Eluana sarà lunga e dolorosa»


da www.avvenire.it

Il neurologo che ha visitato la giovane: sta bene, per spegnersi impiegherà almeno 15 giorni

Eluana non morirà in fretta. Ci vorranno almeno due set­timane, dal momento della sospensione dell’alimentazione con il sondino, prima che la sua vita si spenga. Il corpo della gio­vane è infatti in buone condizio­ni grazie alle cure ricevute in que­sti 16 anni dalle Suore Misericor­dine della clinica lecchese « Tala­moni » . E per lei saranno giorni di sofferenza fisica.

Lo assicura Giuliano Dolce, 80 an­ni, direttore scientifico della cli­nica Sant’Anna di Crotone, scien­ziato di fama internazionale, uno dei luminari italiani nella cura de­gli stati vegetativi. Il quale preci­sa: «Non parlo per sentito dire. Ho visitato Eluana lo scorso gennaio, d’accordo con la famiglia e i le­gali. Ho visto che è stata curata bene e con molto affetto dalle suore. Per questo affermo che, quando le verrà tolto il sondino per l’alimentazione, ci vorranno almeno due settimane prima che arrivi la morte. Il suo sarà un viag­gio lungo, come accadde per la povera Terry Schiavo negli Stati Uniti qualche anno fa ».

Una persona in coma soffre se le viene tolta l’alimentazione?

«Si, la sofferenza fisica è scienti­ficamente provata nei pazienti in stato vegetativo. L’incredibile sen­tenza del tribunale di Milano pre­senta comunque diversi aspetti contraddittori dal punto di vista medico » .

Quali?

«A mio avviso la contraddizione scatta nel punto in cui viene co­munque imposta, oltre che un’in­dispensabile umidificazione fre­quente delle mucose con l’ovatta bagnata sulle labbra, anche una somministrazione di ' sostanze i­donee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi'. Tra­dotto, la paziente deve essere i­dratata per evitarle sofferenza. Quindi non morirà di sete, ma di fame. E voglio vedere dove tro­verà un posto che la ospiterà pr morire. Non è un caso di eutana­sia, perché, ad esempio, in Olan­da si essa viene praticata su un malato che soffre molto e negli ultimi giorni della sua esistenza e ne fa richiesta. Questo è un o­micidio e dal punto di vista deontologico per un medico è inac­cettabile » .

Il punto è: alimentazione e idra­tazione sono o no un atto tera­peutico?

«No. In Francia e Germania sono un atto dovuto per legge. In Italia la legge la sta facendo il tribuna­le di Milano e non il Parlamento e contrasta con quanto deciso dalla Commissione nazionale di bioetica. Eluana è come un neo­nato: se le togli il latte muore perché non è in grado di ali­mentarsi da so­la. Come si può dire che nutrir­la è un atto di cura? Clinica­mente non è malata, è un pa­ziente guarito con difetto » .

Cosa significa?

«La ragazza è in coma per una ce­rebropatia grave causata da un in­cidente stradale. Dopo un anno in medicina chi sopravvive è con­siderato clinicamente guarito. Quindi non viene più curato, ma sottoposto a nursing, cioè alla nu­trizione, alla riabilitazione passi­va quotidiana e alle cure che pre­vengono, ad esempio, le piaghe da decubito. Ma è guarito con di­fetto, nel suo caso gravissimo, perché non ha ripreso coscienza. Quindi va considerata una disa­bile, probabilmente sulla frontie­ra estrema della disabilità. La sen­tenza si basa sulle teorie di chi so­stiene che la vita in stato vegeta­tivo sia peggiore della morte. In­vece per me, che mi occupo di questi pazienti da molto tempo, è vita vera. Al momento la donna ha una sua vita sociale, è assisti­ta da una suora che le vuole bene e che quando la ragazza se ne an­drà probabilmente soffrurà mol­tissimo. La famiglia e gli amici la vanno a visitare, le fanno sentire affetto, non è sola. Non ci manda segnali, ma chi sa cosa prova in si­lenzio davanti a questo amore? » .

Possono provare emozioni i pa­zienti nelle sue condizioni?

«Certo. A Crotone, in 12 anni ab­biamo verificato le alterazioni provocate dall’ascolto della voce della mamma. In altri casi arros­siscono. Dipende dalle loro con­dizioni » .

Eluana Englaro è in stato vege­tativo da 16 anni. C’è un limite temporale oltre il quale non ci si risveglia?

«Non si può dirlo con cognizione scientifica. All’ultimo convegno mondiale sui danni cerebrali di Lisbona, in aprile, è stato citato il caso di un paziente statunitense che si è risvegliato dopo 18 anni. In letteratura ci sono molti e­sempi di persone risvegliatesi do­po molto tempo. Superati i primi due anni di coma, si può soprav­vivere a lungo. È superato il ter­mine di stati vegetativi ' perma­nenti' usato nella sentenza mila­nese, la definizione corretta è ' persistenti'. Perciò per la nostra professione l’esecuzione della sentenza è pericolosa, perché po­trebbe lasciare a qualcuno, me­dico o giudice, il potere di stabi­lire quando finisce la vita, var­cando frontiere etiche e di ci­viltà » .

Quanti sono i pazienti in stati ve­getativo in Italia?

«Diverse migliaia, impossibile stabilirlo in mancanza di una banca dati. Nel 2005 erano 2500, un terzo bambini. L’incidenza è di 1800 nuovi casi all’anno. La Lombardia ad esempio tre mesi fa ha approvato la creazione di 500 nuovi posti letto in hospice. Oltre ai pazienti in coma per trau­ma, ci sono quelli il cui cervello è rimasto danneggiato per man­canza di ossigeno, chi ha avuto un ictus, chi un infarto. Gli ulti­mi anni di vita dei malati di Alzheimer spesso vengono tra­scorsi in stato vegetativo. Dopo Eluana potrebbero verificarsi molti casi » .

Lei fa parte di un’associazione di bioeticisti laici e cattolici, «Vi.ve», vita vegetativa. Cosa farete?

«Prima di tutto faremo appello al procuratore generale della re­pubblica di Milano perché pre­senti ricorso contro la sentenza. Poi utilizzeremo tutti gli stru­menti giuridici disponibili contro il medico che eseguirà la senten­za » .

Il professore Giuliano Dolce è un luminare nella cura degli stati vegetativi. La giovane lecchese, spiega, morirà di fame e il dolore fisico in questi pazienti è dimostrato in maniera scientifica.

Questo, conclude, è omicidio

Vescovo Mantova al padre: Lasciala viva a chi la ama




da www.ansa.it

MANTOVA - Per anni parroco della famiglia Englaro a Lecco e oggi vescovo di Mantova, Roberto Busti lancia dalle colonne dell'edizione odierna della Gazzetta di Mantova un appello al padre di Eluana, Beppino: "Rispetto il suo dolore - dice - ma adesso che ha ottenuto dallo stato ciò che chiedeva, la possibilità cioé di avere in mano la vita di sua figlia, consegni questa vita a chi vuole amarla ancora lasciandola vivere così".

Busti ricorda che quando era parroco di San Nicola a Lecco spesso andava a trovare la ragazza nella clinica Monsignor Talamonti dove è ancora ricoverata. "Eluana - scrive il prelato - è seguita tuttora da una suora che ha ragione quando dice che quando si accarezza il volto di Eluana lei reagisce, e vive per conto suo, senza macchine".

Da qui la proposta del vescovo, una "sfida", come la definisce lui: "Si provi a misurare con le nuove tecnologie mediche se Eluana ha o non ha la capacità di recepire o reagire di fronte a persone che interagiscono con lei. Perché se reagisce e lo si dimostra scientificamente, allora Eluana è una persona viva". "Io non voglio giudicare Beppino - conclude il vescovo - rispetto il suo dolore ma gli dico anche di non caricarsi di un gesto che spaccherebbe ancora di più il suo cuore. Lasci Eluana dov'é, dove chi l'ha seguita e nutrita in questi anni continuerà a farlo ancora con amore".

11.7.08

Non chiamamola eutanasia…

da www.ilfoglio.it

Caro Direttore,
le vicende degli ultimi giorni impongono una certa chiarezza nell’uso dei termini, spesso fonte di una voluta confusione.

Paradossalmente direi per iniziare di non chiamare “eutanasia” quanto proposto per Eluana Englaro; la parola, sebbene appropriata, lascia l’idea di un confronto aperto nel dibattito pubblico, convincendo quindi il singolo cittadino di stare affrontando qualcosa di nuovo, qualcosa su cui pertanto è autorizzato a maturare una propria decisione. Per favore, chiamiamolo “omicidio” (di una persona malata): sull’omicidio pochi pensano di dover elaborare un proprio convincimento.
Non parliamo poi di “situazioni nuove causate dall’impressionante sviluppo della medicina tecnologica” riferendoci a quei dilemmi etici che non sappiamo risolvere a causa dell’impressionante sottosviluppo della nostra coscienza morale. Incapaci di comprendere la giusta grammatica della vita, di fronte al debole, al disabile, al diverso non riconosciamo più la sentenza esatta: “non apprezzo la sua vita” o “non ha prezzo la sua vita”?
Per favore, non chiamiamo Eluana “malata terminale”: Eluana non è terminale, proprio perciò si cerca il modo di terminarla, sospendendole il cibo e l’acqua. Senza cibo ed acqua parecchie persone effettivamente diventano terminali.
E, per favore, non chiamiamola “vegetale”, perché ci sono persone e famiglie che spendono la vita per curare figli, fratelli, parenti o sconosciuti nello stesso stato e non lo fanno per la medesima passione “di chi coltiva l’orto”. Per favore, non offendiamo la dignità di chi riconosce in questi malati la propria stessa dignità. E poi se Eluana non fosse più degna di vivere una vita considerata umana, perché tentare di darle una morte degna e umana?
Per favore, non chiamiamo “accanimento terapeutico” o “alimentazione forzata” il sostegno che le fornisce cibo e acqua: tanti genitori proverebbero insostenibili sensi di colpa e laceranti dubbi morali nello spendere tanto tempo con artificiali cucchiai che volano, rombando come aerei, nelle fauci riluttanti di figli inappetenti.
Per favore, non parliamo di “scelta autonoma” perché qui viene terminato qualcuno proprio perché autonomo non è più: l’autonomia semmai è di qualcun altro che emette sulla ragazza un proprio giudizio di valore. E non diciamo che la scelta va considerata come attuale, autonoma e valida perché fu espressa da Eluana in tempi non sospetti: anch’io avrò detto qualche volta ai miei figli “se un giorno ragiono come i radicali, abbiate pietà, uccidetemi”, ma questo – qualora quel caso pernicioso si realizzasse - non li autorizzerebbe realmente a farlo.
Infine, riconosco il dolore di un uomo distrutto, il buon signor Englaro; la Quercia Millenaria, associazione della quale faccio parte e che Lei direttore ben conosce, vive costantemente l’esperienza del dolore, proprio quello delle coppie che si trovano improvvisamente di fronte un figlio diverso dalle attese. Il figlio immaginato, il “bambino della notte”, la foto incorniciata, cede il posto ad una realtà in apparenza mostruosa. Eppure, aiutate e sostenute, queste persone vivono la loro esperienza come una grazia indimenticabile, come un’unica irripetibile occasione di essere pienamente madri e padri. Comprendo quindi il buon signor Beppino. Ma, in onestà, chiamiamo la sua “una scelta di dolore disperato”. Per favore, non chiamiamola scelta di amore.

Massimo Losito
Docente di Bioetica, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Consigliere de “La Quercia Millenaria ONLUS”

Massimo Losito, Roma

Se siamo in un vicolo cieco, almeno che sia sgombro e in discesa

Ascoltando certi discorsi mi sembra di essere tornato a qualche mese fa quando si parlava dei martiri non nati. Adesso la martire è una non morta (viva!), ma il punto è sempre lo stesso: l'annientamento della realtà carnale per la sopravvivenza di un sogno che non esiste. E il Principe esulta.

10.7.08

Non c’è nessuna spina da staccare


da www.ilfoglio.it

Sentenza di morte

Eluana Englaro respira da sola, tolto il sondino morirà di fame e di sete. Non ha espresso volontà in merito, i giudici invitano a dedurle dal suo “vissuto” e dai suoi “convincimenti etici"

Attorno a Eluana Englaro si affolla la compagnia della pessima morte. Perché è orribile la morte per fame per sete alla quale la ragazza in stato vegetativo dal 1992 è stata condannata con la sentenza emessa ieri dalla prima sezione civile della Corte d’appello di Milano. La sentenza autorizza, “con effetto immediato”, la sospensione della nutrizione e dell’idratazione con sondino della ragazza, per la quale il padre Beppino da tempo chiede di “staccare la spina”. Anche se non c’è nessuna spina da staccare. Eluana respira da sola, vive, forse sogna, nessuno può sapere cosa. C’è ancora, il suo stato è stabile. Vive, e la concretezza di quella vita è insopportabile per chi la considera già morta. Nessuna spina da staccare, dunque, ma interruzione di semplici attività di sostentamento (“sostentamento ordinario di base”, lo aveva definito il Comitato nazionale di bioetica) e cioè della somministrazione di acqua e di cibo: non un atto terapeutico (dunque nessun accanimento) ma semplice cura.

Il nostro ordinamento non prevede la pena di morte per chi non è in grado di mangiare e bere autonomamente. Poi, nello scorso ottobre, una sentenza della Cassazione ha stabilito che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione della nutrizione quando “la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione”. E, insieme, quando “sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento”. Per chi non può esprimersi, vale quindi l’interpretazione, la suggestione, la sensazione di altri. Alla faccia del consenso informato, che viene chiesto per i più banali atti medici ma che pare si possa tranquillamente saltare se si tratta di comminare la morte per fame e per sete.

Il costituzionalista Aldo Loiodice, docente a Bari e a Roma, dice al Foglio che la sentenza di Milano “è abnorme, perché nega il principio primario del diritto alla vita. Non siamo di fronte al diritto di rifiutare le terapie e anche la nutrizione, attraverso una volontà liberamente espressa. In questo caso non c’è nessuna volontà, se non quella dei tutori della Englaro. E’ un fatto moralmente e giuridicamente inaccettabile. Viene invocato il diritto a uccidere una persona attraverso la negazione dei supporti minimi per la sua sopravvivenza. Quello di Eluana non è un corpo privo di valore, ‘è’ Eluana. E il suo tutore non può intervenire su diritti personalissimi, che non ammettono rappresentanza”.

Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore, il ragazzo che si è svegliato dopo due anni di stato vegetativo, racconta al Foglio di aver commentato con Bobby Schindler, fratello di Terri Schiavo, “questa assurda sentenza. Siamo preoccupati per una decisione ingiusta che si basa su dichiarazioni non verificabili e che apre scenari neri per tutti coloro che si trovano nelle condizioni in cui si è trovato mio fratello”. Che ci sia da preoccuparsi lo conferma un commento del legale della famiglia Englaro, il quale giudica “paradossale che venga riconosciuto il diritto di rifiutare un trattamento medico a tutti tranne che a chi non può rifiutarsi proprio perché in stato vegetativo”. “Invasiva”, secondo questa logica grottesca, sarebbe la somministrazione di cibo e acqua a Eluana, mentre non sarebbe invasiva la decisione – presa da altri – di negarglieli.

Significa, secondo il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, che “la decisione di porre fine a una vita umana non richiede dunque nemmeno quelle cautele che riguardano le normali volontà testamentarie su beni materiali”, mentre il Centro di Bioetica della Cattolica di Milano sottolinea che la sentenza della Corte d’appello “introduce un serio e grave problema deontologico nella medicina: sospendere trattamenti ordinari come quelli somministrati a un paziente in stato vegetativo a motivo di una decisione che non ha fondamento clinico, significa di fatto scardinare il dovere fondamentale del prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere”.

L’associazione Scienza & Vita parla di “deriva culturale: che si consideri come criterio fondamentale l’esercizio dell’autonomia, anche laddove questa non possa più essere esercitata. E che, in nome di questa falsa autonomia, si metta in gioco anche quel rispetto per la dignità umana che proprio nella vita fisica trova la sua ragion d’essere”. Mentre Medicina e Persona accusa: Questa decisione su Eluana è una condanna a morte perpetrata per legge in nome della pietà. La decisione della Corte d’appello di Milano è gravissima ed è la dimostrazione del modo scorretto di operare in questi ultimi decenni di una parte della magistratura italiana, che si arroga il diritto di stravolgere le leggi, addirittura di crearle. Eloquente, a questo proposito, il commento di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia pro vita, il quale si chiede “come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta, al legislatore”. Mentre sottolinea che “Eluana è ancora una ragazza in vita. Il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale”.

I giudici milanesi fanno di più. Si spingono fino a dettare le procedure mediche che devono accompagnare Eluana alla morte (“occorrerà fare in modo che l’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale con sondino naso-gastrico la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali o di altre procedure di assistenza strumentale avvengano in hospice o altro luogo di ricovero confacente…”). Estrema beffa: il padre di Eluana può già ottenere la sospensione dell’alimentazione, mentre il procuratore generale ha due mesi per presentare appello. Per quella data, però, Eluana potrebbe essere già morta.

23.6.08

Greatest Hits Hyde Park Corner!


Viva il Foglio! Viva Hyde Park Corner!

16.6.08

Un bel giorno


Igor Stravinsky: L'uccello di fuoco - Finale

13.6.08

iPhone 3G. You'll never walk alone.


Sul sito www.macitynet.it si legge che:

Il nuovo iPhone 3G offrirà una serie completa di funzioni in grado di determinare la posizione dell'utente e che potranno essere utilizzate non solo per la localizzazione e la navigazione assistita, ma anche per la creazione di fotografie contenenti le coordinate geografiche dello scatto, l'individuazione di locali e punti di interesse nelle vicinanze infine per il social networking, come per esempio la ricerca di amici e conoscenti nelle vicinanze [...] La precisione della rilevazione dipende dalla densità dei punti di accesso presenti nella zona: nei centri urbani mappati lo scarto tra le coordinate calcolate e quelle reali può essere di circa 20 metri.

Caro Steve, stai cominciando ad esagerare...
Qui un interessante articolo sul colosso Google-Yahoo appena costituito dal sapore fortemente Orwelliano.

9.6.08

CONCERTO CeT al PICCOLO TEATRO di Milano!


Giovedì 12 giugno alle ore 21,30
si terrà al PICCOLO di Milano un concerto del coro CeT.
L'ingresso è libero. Accorrete numerosi!

www.corocet.it

Radiohead Nude "Remix"


Radiohead Nude
Originally uploaded by r2builder_uk

Big Ideas (don't get any) from James Houston on Vimeo.

Rumori di tutti i giorni. Ogni cosa racchiude in sè un infinito nascosto.
Ascoltare per credere (dal minuto 1:08)

6.6.08

GREATER



da: ilsussidiario.net

Rose ha il volto scavato dalla fatica, ma lo sguardo lieto di chi ha speranza. Le sue parole, i suoi sorrisi, i suoi gesti ci introducono nella vita delle donne e dei bambini di Kampala, toccati da quel male che in Africa assume sempre più i connotati di una strage, l'HIV.
Ma è lei, "zia" Rose, "mamma" Rose, come la chiamano nel villaggio, la vera protagonista di "Greater-Defeating HIV", il documentario scritto e diretto da Emmanuel Exitu, vincitore a Cannes del premio Babelgum (premiato in persona da Spike Lee).
Un protagonismo discreto, deciso ma mai autoreferenziale, una donna conscia dell'importanza del suo ruolo come fondatrice del Meeting Point, ma anche del fatto che, come lei stessa dice, la felicità per queste persone è oltre l'orizzonte dell'aiuto che l'associazione può dare. Un aiuto che è innanzitutto un'educazione che porta addirittura queste donne e questi bambini, che agli occhi del mondo sono solo i "poveri" da "compiangere" e da "aiutare", a farsi donatori a loro volta quando, è il momento più toccante del film, lavorano per sostenere i superstiti dell'uragano Katrina, a New Orleans, dall'altra parte del mondo.
Un esempio, il loro, che diventa insegnamento per noi che, come conclude Rose, possiamo "imparare a commuoverci" da queste misere e imponenti vite.

21.5.08

19.5.08

L'omo de fero


"A volte, bisogna rischiare delle incertezze,
per avere delle certezze..."

Tony Stark, Iron Man

13.5.08

CONTACT. La fede come metodo di conoscenza.


Kitz: Then why don’t you simply withdraw your testimony and concede that this journey to the center of the galaxy, in fact, never took place?!

Ellie: Because I can’t. I had an experience. I can’t prove, I can’t even explain it, but everything that I know as a human being, everything that I am tells me that it was real. I was part of something wonderful, something that changed me forever; a vision of the Universe that tells us undeniably how tiny, and insignificant, and how rare and precious we all are. A vision that tells us we belong to something that is greater than ourselves. That we are not, that none of us are alone. I wish I could share that. I wish that everyone, if even for one moment, could feel that awe, and humility, and the hope, but... that continues to be my wish.

dal film "Contact".

"Si chiama fede, conoscenza per fede, il riconoscimento della realtà attraverso la testimonianza che porta uno, che si chiama appunto testimone o teste [...] è una conoscenza della realtà che avviene attraverso la mediazione di una persona fidata, adeguatamente affidabile. Io non vedo la cosa; vedo soltanto l'amico che mi dice quella cosa, e quell'amico è una persona affidabile, perciò quello che lui ha visto è come se l'avessi visto io. [...] Quindi la fede, prima di tutto, non è soltanto applicabile a soggetti religiosi, ma è una forma naturale di conoscenza, una forma naturale di conoscenza indiretta: di conoscenza però! [...] La ragione è una cosa viva che, perciò, per ogni oggetto ha un suo metodo, ha un suo modo, sviluppa una caratteristica dinamica, ha anche una dinamica per conoscere cose che non vede direttamente e che non può vedere direttamente, le può conoscere attraverso la testimonianza di altri: conoscenza indiretta per mediazione."

Luigi Giussani, Si può vivere così?

28.4.08

Non siamo orfani


Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.

Dante - Purg.XVII, 126 - 129

Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione
Rimini, 25.26.27 Aprile 2008

23.4.08

ORSI E RIMORSI


Ultime ANSA. Hollywood: l'orso Rocky ha ucciso il suo trainer Stephan Miller spezzandogli il collo di netto con un morso. L'associazione Amici dell'Orso Bernardo ha espresso la propria solidarietà ai parenti del carnefice.

21.4.08

Verità e Libertà


La manipolazione della verità distorce la nostra percezione della realtà ed intorbida la nostra immaginazione e le nostre aspirazioni.

Ho già menzionato le tante libertà di cui voi per vostra fortuna potete godere. L’importanza fondamentale della libertà deve essere rigorosamente salvaguardata. Non è quindi sorprendente che numerosi individui e gruppi rivendichino ad alta voce in pubblico la loro libertà. Ma la libertà è un valore delicato.

Può essere fraintesa o usata male così da non condurre alla felicità che tutti da essa ci aspettiamo, ma verso uno scenario buio di manipolazione, nel quale la nostra comprensione di noi stessi e del mondo si fa confusa o viene addirittura distorta da quanti hanno un loro progetto nascosto.

Avete notato quanto spesso la rivendicazione della libertà viene fatta, senza mai fare riferimento alla verità della persona umana? C’è chi oggi asserisce che il rispetto della libertà del singolo renda ingiusto cercare la verità, compresa la verità su che cosa sia bene. In alcuni ambienti il parlare di verità viene considerato fonte di discussioni o di divisioni e quindi da riservarsi piuttosto alla sfera privata. E al posto della verità – o meglio, della sua assenza – si è diffusa l’idea che, dando valore indiscriminatamente a tutto, si assicura la libertà e si libera la coscienza. È ciò che chiamiamo relativismo.

Ma che scopo ha una “libertà” che, ignorando la verità, insegue ciò che è falso o ingiusto? A quanti giovani è stata offerta una mano che, nel nome della libertà o dell’esperienza, li ha guidati all’assuefazione agli stupefacenti, alla confusione morale o intellettuale, alla violenza, alla perdita del rispetto per se stessi, anzi alla disperazione e così, tragicamente, al suicidio? Cari amici, la verità non è un’imposizione. Né è semplicemente un insieme di regole. È la scoperta di Uno che non ci tradisce mai; di Uno del quale possiamo sempre fidarci.

Nel cercare la verità arriviamo a vivere in base alla fede perché, in definitiva, la verità è una persona: Gesù Cristo. È questa la ragione per cui l’autentica libertà non è una scelta di “disimpegno da”. È una scelta di “impegno per”; niente di meno che uscire da se stessi e permettere di venire coinvolti nell’ “essere per gli altri” di Cristo (cfr Spe salvi, 28).


Benedetto XVI

discorso tenutosi al Seminario di Saint Joseph, Yonkers, New York Sabato, 19 aprile 2008

Qui il testo completo

© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

18.4.08

Occhi di Tigre


Al Governo che si sta per formare si chiederà molto per risollevare le sorti di un Paese in crisi. Ma che compito compete a tutti noi? Da un film molto popolare di qualche anno fa, Rocky 3, possiamo trarre un suggerimento. Il pugile protagonista del film, dopo aver conquistato il titolo mondiale per la sua eccezionale grinta e umanità, smette di allenarsi con serietà e viene così sonoramente sconfitto. Il suo primo rivale, che nel frattempo gli era divenuto amico, gli rivela il motivo della sua sconfitta: «Non hai più gli occhi di tigre!». Gli propone così di ricominciare da capo. Rocky, dapprima riluttante, lo segue, smette di rimpiangere i tempi che furono e inizia a sottoporsi di nuovo ad allenamenti massacranti, in una povera palestra di Los Angeles, con ragazzini alle prime armi. Così, lui, picchiatore, cambia completamente: diventa un pugile agile e, con rinnovati “occhi di tigre”, vince l’avversario che l’aveva precedentemente battuto

L’apologo tratto dal film ben si adatta all’Italia di oggi. Il nostro Paese, distrutto dalla guerra, seppe inserirsi tra i paesi più sviluppati del mondo, grazie all’intraprendenza, alla creatività, allo spirito di sacrificio dei suoi cittadini. Oggi, dopo aver raggiunto il benessere, non sembra più in grado di affrontare la crisi perché non è disposto a rischiare ciò che ha conquistato per ricominciare da capo. Chi ha vissuto la campagna elettorale nelle piazze, ha visto che molta gente si dimostra delusa e rassegnata e riversa sulla politica tutte le colpe di una situazione carica della stanchezza esistenziale di tutti. Ben diversa appare la situazione degli extracomunitari che vivono in Italia. La voglia di costruire un futuro per loro e i loro famigliari, spesso lontani, li rende pieni di passione verso la realtà, disposti a qualunque sacrificio, voraci verso le occasioni di lavoro che italiani anche bisognosi rifiutano. La fame dà loro gli “occhi di tigre”, simili a quelli che avevamo noi anni fa. E allora, da dove ricominciare?

Nella nostra tradizione, anche prima del dopoguerra, per molti secoli, c’è stato un motivo di impegno ben più forte della stessa fame, che ha reso il nostro popolo appassionato alla realtà e capace di affrontare anche la fame. E’ stata quella fede cristiana che aiuta a scoprire la bellezza del reale, pur in mezzo a tante difficoltà e contraddizioni, che spinge a valorizzare ogni piccola possibilità per migliorare la propria condizione di vita attraverso il lavoro, che considera unica e irripetibile ogni persona, che apre al sacrificio di se stessi a vantaggio di chi si ama e del proprio popolo. E’ stata, ancora, quella passione ideale per la giustizia e per il progresso, che ha permesso di costruire condizioni di vita più dignitose per sé e per i propri simili. Contrariamente a quanto ripetono gli intellettuali che invocano il definitivo sradicarsi dalla nostra storia, solo riprendendo a vivere in modo critico e attuale questa fede o questa passione ideale, possono rinascere in noi “occhi di tigre” capaci di farci iniziare di nuovo a lottare senza dormire su allori che non ci sono più. Un’educazione a questa posizione umana è ciò che è più urgente: senza di essa poco potrà il desiderio di cambiamento che queste elezioni hanno messo in luce.

Giorgio Vittadini - Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

da www.ilsussidiario.net

Perfetto buonumore. Perfetta amarezza

Oggi scrivo io. Scrivo alle amiche e agli amici che hanno speso il loro tempo, il loro denaro, le loro energie, la loro faccia nella battaglia elettorale per la vita e contro l’aborto. Li ringrazio e voglio loro un gran bene. So che continueranno come continuerò io a pensare le cose che ci siamo dette in tante riunioni belle e che valeva la pena di tenere. Ci siamo detti che altri fanno giustamente la campagna elettorale per vincere le elezioni e noi, invece, ci siamo presentati alle elezioni per fare la campagna culturale contro il maltrattamento e la disumanizzazione della vita, tema buono per il secolo: per questo eravamo e ci consideravamo bizzarri, ed era vero. Scrivo nel segno del perfetto buonumore e di una perfetta amarezza: il buonumore è per la buona battaglia, che continua, l’amarezza è per il disastro nelle urne. La sconfitta è indubitabile, la si deve riconoscere senza riserve, senza rifugi, senza vittimismi e senza sentimentalismi. In altro contesto e totalmente diverso, beffardo e tutto e solo politico-moralistico, feci così anche nel Mugello, dove certo non ero andato a sfidare l’eroe di mani pulite per un seggio di senatore nel luogo politicamente più blindato d’Italia, e altrettanto in solitaria: quando si perde si perde, punto e basta, niente scuse. Questione di raziocinio e di stile, due cose importanti. E’ tutta mia, la piccola catastrofe della lista, e lo dico senza alcun narcisismo alla rovescia. Lo dico perché è così. Dopo il gentile rifiuto di Formigoni, una personalità politica assai meno controversa e divisiva di quanto non sia io, più capace di raccogliere uova e bombe carta e sedie che non voti, io che poi non sono da molti decenni un leader politico bensì un chiacchierone e un agitatore professionale, avrei dovuto fermarmi. Dopo lo scaltro rifiuto di Berlusconi, che se si fosse apparentato con me, “Signor Testone”, visti i fatti di campagna e il risultato, avrebbe rischiato grosso, avrei dovuto fermarmi. Parlo della lista, sia chiaro, non delle idee in cui crediamo e che sono lì da elaborare, perfezionare, adattare alla campagna di cultura e di civiltà più importante che mai. Che sono lì e che sono la stoffa di cui sarà fatto il confronto, lo scontro politico e civile dei prossimi anni. Vorrei che questo giudizio non suonasse come la sconfortante presa d’atto di una batosta, come un segno di resa. Perché non è così. Recuperate le forze, con calma e nei tempi lunghi, ma da subito, tutto è ancora da fare, c’è sempre un’intuizione da salvare, un silenzio da rompere, una intera cultura diffusa da scardinare, e anche il tempo rumoroso e inefficace della lista elettorale risulterà tutt’altro che sprecato. Ma della lista come progetto non si può salvare niente. Chiuderò l’associazione che l’ha promossa, il residuo (non molto) di bilancio lo destineremo al centro di aiuto alla vita della Mangiagalli, quello della splendida Paola Bonzi. Le donne e i giovani che hanno fatto bella questa battaglia in tante regioni e città possono cercare di mantenere un coordinamento, se lo credano, o inventarsi qualcosa di nuovo se pensino che c’è stata una semina e si deve raccogliere, oppure possono tornare alla routine, che per molti di loro è un impegno serio e generoso di lunga data sul tema della vita umana. Una cosa è per me certa. Non siamo stati battuti dal destino cinico e baro: siamo stati battuti dall’aborto. Nei tre decenni dalla sua legalizzazione in occidente, l’aborto è diventato un diritto a cui una immensa maggioranza tiene, che pochissimi vogliono vedere messo in discussione in qualunque forma, anche salvando la finale libertà di scelta delle donne, un diritto che risolve situazioni personali e che si incunea negli incubi di gravidanze considerate una malattia e un ricatto della natura, se indesiderate. E’ questa idea, primitiva e barbarica a nostro modo di vedere, che prevale e che si oppone a qualunque forza contraria. Finché si fa campagna culturale, si può sopravvivere a stento a questa spinta difensiva e d’attacco, che naturalmente è fondata anche su un ancestrale senso di colpa, ma buttarla in politica, animare il sospetto che si voglia separare il mondo secolare da questo suo compagno segreto, sia pure nella libertà di scelta, è esiziale. Lo fu nel 1981, in una contesa in cui erano impegnati il Papa e la Dc, lo è stato nella piccola scaramuccia elettorale del 2008, con noi modesti e artigianali protagonisti. E solitari.

Giuliano Ferrara

Il Foglio, 16.04.08

10.4.08

Chiarimenti

Cari lettori, ho capito di dove è nato il casino. Essendo un po' tardo di riflessi, ci sono arrivato solo alla fine. Il casino è nato da questo. L'aborto nei secoli fu un peccato. Il peccato era strettamente legato al reato, che ne dava la definizione secolarizzata. Poi con la nascita del mondo liberale, peccato e reato si sono separati. L'aborto, essendo una enormità, è arrivato alla separazione per ultimo. Dire come io ho detto che bisogna nominare le cose con il loro nome, che l'aborto è un miserabile arcaismo indegno di una civiltà liberale, e che proprio la libertà di scelta ci dà la responsabilità di fargli una lotta senza quartiere, di mancargli di rispetto senza mancare di rispetto alle persone, è intollerabile per una cultura che si fonda sulla cancellazione del peccato dal suo orizzonte etico: mi hanno risposto che "la 194 non si tocca" proprio perchè non la volevo toccare, perchè volevo e voglio fare qualcosa di diverso. Proprio perchè ho ritirato fuori da laico la questione del peccato, della colpa, mi sono preso questa condanna freudiana al piccolo e molesto e sopportabile rogo dell'ideologia. Pazienza, e in bocca al lupo. Crepi.

Giuliano Ferrara

Il Foglio, 10.04.08

8.4.08

Pare, dico pare...


Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.


Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.


Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:


e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: Sospira.


Dante Alighieri, Vita Nuova

7.4.08

L'invenzione dei mostri


Certo: si può chiudere il discorso tirando in ballo le solite «frange folli», dicendo che dopotutto si tratta di non più di qualche centinaio di scalmanati, ignari della fondamentale distinzione tra la forza degli argomenti e l' uso della forza come argomento: cose che ci sono e ci saranno sempre e dovunque. Si può fare così, certo: ma sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia al pari degli struzzi. Le ripetute, violente manifestazioni inscenate ai comizi di Giuliano Ferrara, i tentativi di impedirgli di parlare, testimoniano infatti di qualcosa di diverso e di più grave. Nel vilipendio della stessa immagine fisica dell' avversario (l' evocazione insistita della sua corpulenza come sinonimo di un' anormalità più sostanziale, antropologica, che va punita), nel pregiudizio livoroso verso ciò di cui egli viene eletto a simbolo («tornatene in televisione») così come verso i supposti veri moventi delle sue opinioni («servo dei servi di Berlusconi»), in tutto questo si avverte l' eco di qualcosa che conosciamo anche troppo bene, e che non è certo patrimonio esclusivo di qualche gruppetto di esagitati. Ci sentiamo l' eco del disprezzo e della manipolazione che in Italia viene regolarmente riservato a chi non la pensa come noi. E non già dalle «frange folli», ma spessissimo dai più illustri commentatori, dai rappresentanti più accreditati della cultura. Ha un bel dire oggi con tono virtuoso Miriam Mafai (e con lei tanti altri) che se fosse stata a Bologna sarebbe stata con Giuliano Ferrara «contro coloro che con la violenza gli hanno impedito di parlare». Vorrei vedere il contrario! Ma il punto non sta qui. Non è quando si arriva alle sediate in testa e all' assalto al palco, infatti, che bisogna far sentire la propria voce. È - o meglio era, ormai - quando da mille parti si è dipinto di continuo Ferrara come una sorta di orco antiaborista, uno che voleva ricacciare le donne nella clandestinità delle mammane. Quando, piuttosto che riconoscere che le cose che il direttore del Foglio diceva, e per come le diceva, ponevano alla politica questioni tremendamente, forse insopportabilmente, serie, si è preferito invece consegnarlo in pasto alla demonizzazione estremistico-femminista nascondendosi dietro la solfa fintamente virtuosa del «ma nessuno è favorevole all' aborto in quanto tale»; lasciando quindi che lo si considerasse come un subdolo mistificatore o, nel caso migliore, uno squilibrato. Si è preferito cioè, seguire il copione abituale che in Italia caratterizza la discussione pubblica - si parli di aborto o della Costituzione, di immigrazione o di storia del fascismo -: cambiare le carte in tavola, fingere di non capire, far dire all' altro ciò che quello non ha mai detto ma che secondo noi voleva dire. Tutto pur di non prendersi l' incomodo di discuterne realmente le idee, ritenute pericolose per le certezze nostre e della nostra parte. Con il risultato inevitabile, e voluto, di far passare chi ha il solo torto di non pensarla come noi, di far passare lui, paradossalmente, come il colpevole di strumentalizzare le idee in funzione di chissà quale disegno politico. E gettando così le premesse per la costruzione della figura del nemico pubblico numero uno: attività alla quale, in Italia, per strano che possa sembrare, non sono dediti tanto gazzettieri di terz' ordine o politici senza scrupoli, ma per lo più la crema intellettuale del Paese, uomini e donne assolutamente dabbene.

Ernesto Galli Della Loggia, Corriere della Sera, 6 Aprile 2008