25.7.08

Dobbiamo incentivare la tiepidezza


da www.tempi.it

Mio caro Malacoda, in Italia è il pomeriggio di giovedì 17 luglio 2008, ti scrivo oggi perché, avendo appena ascoltato il discorso di Benedetto XVI sul molo di Barangaroo a Sydney, il suo primo saluto ai giovani della Gmg, mi sono molto preoccupato e devo correre in Australia, prima che faccia troppi danni. I giornali titoleranno sui passaggi ecologici del suo discorso, ma ti basti l’incipit sulla Chiesa per capire dove può andare a parare: «La giovane comunità cristiana si fece avanti per opporsi alla perversità della cultura che la circondava, per prendersi cura dei propri membri, per difendere la propria fede in Gesù di fronte alle ostilità e per guarire i malati. E in adempimento del comando di Cristo stesso, partirono, testimoniando la storia più grande di tutti i tempi: quella che Dio si è fatto uno di noi, che il divino è entrato nella storia umana per poterla trasformare». Non c’è di che stare tranquilli. Qui in Italia vedo che invece le cose procedono per il meglio e volevo lasciarti alcune consegne prima di partire. È in atto da tempo, nel mondo politico e culturale, un fenomeno che vorrei tu continuassi a incoraggiare: l’arte del posizionamento. Mutuata dal marketing, questa tecnica è esattamente l’opposto di quello che si chiede a un politico: prendere posizione; e consiste nel cogliere quelli che ecclesialmente si chiamerebbero i segni dei tempi (è attività non snobbata anche da molti presuli) e farli propri, o comunque assecondarli cercando di farsi trovare alla stazione giusta per quando vi passerà il treno dell’opinione pubblica o quello del potere (spesso sono due carrozze dello stesso convoglio). Un esempio, la privacy. Tutti hanno sempre pensato che il privato e l’intimo fossero realtà appunto private e intime, da non divulgare in pubblico se non attraverso quella forma di comunicazione incontrollabile – nei suoi canali di diffusione e nella sua veridicità – che è il pettegolezzo. Era costume, non legge. Era una norma non scritta, e forse per questo più rispettata. Poi c’è venuto il colpo di genio della legge sulla tutela della privacy. Il risultato è stato, oltre all’istituzione di un’Authority alla bisogna, la proliferazione incontrollata della modulistica da compilare per ogni tipo di pratica e (post hoc? propter hoc? ad hoc?) lo sputtanamento generalizzato a mezzo stampa del privato di cittadini più o meno illustri attraverso la pubblicazione delle intercettazioni: il pettegolezzo istituzionale con garanzia delle procure. Tutto questo è andato avanti per anni in nome dei superiori interessi della giustizia. Quando non si è pubblicato qualcosa, si è lasciato intendere di averlo letto e se ne è diffusa la sintesi, con il risultato che tutti gli italiani sono convinti di avere ascoltato certe telefonate della cui esistenza non hanno la minima prova se non la fiducia accordata a qualche direttore di giornale. Bene, cosa ti fa il garante italiano della privacy in questa situazione? Tace per anni, fino a ieri, mercoledì 16 luglio, quando in preda a un accesso di coraggio denuncia «la diffusione delle intercettazioni, una anomalia tutta italiana». Ecco, questo si chiama posizionamento, mettersi là dove sono già quasi tutti. È frutto di una virtù che noi dobbiamo assolutamente incoraggiare: la tiepidezza, quella pavidità mascherata da pazienza e da prudenza che fa vomitare il Nostro Nemico. So che ti fa schifo, ma quelli che lui vomita sono il nostro cibo.

Tuo affezionatissimo zio

Berlicche

Uomini e api

Mentre settimana scorsa il dibattito sulla Englaro era al suo apice, un ape è entrata dalla finestra dell'ufficio. Una mia collega mi ha implorato di non ucciderla perchè sono una razza in via d'estinzione e sono essenziali per l'equilibrio dell'ecosistema. Che qualcosa nel cervello di noi moderni sia andato in tilt mi sembra assodato, o no?

22.7.08

Le scimmie, la persona umana e lo zoologicamente corretto


da www.ilfoglio.it

Nel 1993 lo studioso di Princeton Peter Singer, con la sua collaboratrice Paola Cavalieri, fondò il Great Ape Project, il Progetto Grandi Scimmie. Singer è un bioeticista e animalista. Pensa che gli scimpanzè, gli orango (da orang-utan, in malese, per uomo della foresta) e i gorilla siano dotati di pensiero, qualunque cosa il termine “pensiero” stia ad indicare, e che abbiano una vita emozionale sviluppata, incardinata sull’autocoscienza personale: in quanto esseri sensibili, e nostri cugini primi dal punto di vista genetico, questi animali si prestano al ruolo di portabandiera della liberazione animalista, e sono i campioni giusti per la lotta zoologicamente corretta contro la schiavitù animale, contro lo specismo, una variante del razzismo altrettanto obbrobriosa. Un mese fa la commissione ambiente delle Cortes spagnole ha preso in carico il Great Ape Project e così, per la prima volta, un Parlamento nazionale ha stabilito le condizioni di libertà o di custodia al solo scopo conservativo, insomma i diritti civili, degli animali non umani dai quali secondo Darwin l’uomo discende.

Osservatori di vario conio conservatore hanno commentato: e al toro quando cominceremo a pensarci, caballeros? Ma se l’ironia è una cifra possibile, in realtà la faccenda è più complicata di quanto sembri. L’animalismo liberazionista, insomma l’ideologia radicale di tutela degli altri animali, quelli non umani, ha per sé certamente lo spirito del tempo. E pensa ai cavalli, che non dovrebbero più tirare le carrozze. Alle galline, che non dovrebbero essere ridotte in schiavitù, ovvero ristrette nei pollai e nei pollai industriali, per fare le uova che mangiamo. Ai conigli, i cui allevamenti da carne vanno distrutti. Che la faccenda si complichi anche politicamente, a sentire la denuncia dello stesso Peter Singer, lo si vede dal caso austriaco, con dieci leader animalisti detenuti da oltre un mese in condizioni legali curiose o decisamente ambigue. Non abbiamo dimenticato, d’altra parte, quella muta icona contemporanea che è l’assassino di Pim Fortuyn, un militante animalista e vegetariano integrale che non ha mai spiegato perché si sia accanito a morte contro un difensore umanista della civiltà occidentale come il politico olandese libertario e dandy. Forse non c’era alcunché da spiegare, era tutto molto chiaro.

La vicenda ideologica e militante dell’animalismo radicale va seguita meglio di quanto non si sia finora riusciti a fare, per la semplice ragione che l’amore portato al concetto di animalità o di vivente non umano, compresa la mistica del romanticismo verde, è direttamente proporzionale al disprezzo per la persona umana di cui il nostro tempo è testimone. Vi abbiamo raccontato in passato le idee di Singer sulla bioetica, ma si può e si deve fare meglio. Gli animalisti integrali sono l’avanguardia pensante, e che non ha affatto l’aria di scherzare, di un’orda barbarica capace di rinnovare la nostra civiltà. L’umanesimo è considerato una vecchia inservibile scarpa spaiata. Alla corposa e giocosa parte in commedia di uomini donne e bambini, che divorano uova e vanno allo zoo, si va sostituendo un qualche nuovo copione. Da leggere.

Giuliano Ferrara

17.7.08

Cieco, muto e infermo: nostro figlio vuol vivere.


da www.ilgiornale.it

Siamo i genitori di Andrea (e di altri 3 ragazzi) e, colpiti da quanto deciso ultimamente sulla vita di Eluana, vorremo fornire attraverso Il Giornale un contributo in merito alla comprensione della realtà.

Andrea, il nostro primogenito, ha quasi 16 anni, è handicappato grave con disabilità al 100%, non parla, non vede, non si muove volontariamente... insomma, come recita un suo certificato medico «necessita e necessiterà di assistenza continua per tutti gli atti quotidiani della vita».

Da qualche anno, grazie all'inserimento in un progetto sperimentale, ha iniziato a «dialogare» faticosamente con il mondo esterno con la tecnica della comunicazione facilitata.

Il brano che le inviamo è parte della trascrizione di un dialogo tra Andrea ed uno dei suoi dottori.

Grigio periodo di dolore è il mio. Fermamente ho chiesto a Dio di aiutarmi e di benedirmi. Ho personalmente già più volte offerto le mie sofferenze per altri e questa volta una parte devolvo a te, dottore. (...) ho tanta voglia di fare esperienze belle interiori e di amicizia ma sono dentro una condizione tale di dolore e fisica che non mi permette di fare tutto ciò che vorrei. Questo sono io: dolore e gioia allo stesso tempo. Grato sono alla vita e voglio che si sappia. Grato sono a te per le cure ed a tutti coloro che si preoccupano per me, per il mio presente e per il mio futuro. Sono dell'idea che bisogna dare più spazio a ciò che aiuta interiormente e spiritualmente. Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare. (...) Ci tengo a dire che non disdegno le cure e ciò che porta un benessere fisico e questo va tutelato, ma bene interiore porta anche benessere fisico quindi è primariamente da considerare. Grazie, ti voglio dire che sono felice di oggi e ti dono il mio grazie di cuore.

Non vogliamo giudicare assolutamente il padre di Eluana. Capiamo bene il suo dolore e, come lui subiamo la stessa lacerazione interiore quando guardiamo, ahimè troppo spesso, un figlio che soffre steso in un letto e gli siamo vicini. Non accettiamo e ci fa rabbrividire il triste moralismo infantile ed inconsapevole di tanti che giudicano la vita degna solo se di «qualità». Anche noi, presi, impregnati, dalla «mentalità dominante», riusciamo solo per brevi istanti ad intuire che le parole di nostro figlio «questo sono io: gioia e dolore allo stesso tempo» sono vere non solo per lui ma anche per noi. Esse rappresentano la realtà della condizione umana. Realtà dura, spigolosa, inaccettabile non solo per chi ha una coscienza di sé inconsapevolmente nichilista e gaudente, ma pur sempre strada per la felicità e non per una inutile spensieratezza. Sempre riprendendo le parole di Andrea: «Lotta, sì, ma con meta il cielo e la nostra grande anima da coltivare».

La battaglia è qui. È possibile essere felici come Andrea dice di essere quando tutto intorno dice che non serve cercare la felicità ma solo il divertimento e l’assenza di problemi? Rimuovere il dolore dalla vita è eliminare la Croce, sola realtà capace di trasfigurarlo in gioia. Come sempre è la Croce il vero scandalo. E quale metodo più efficace per rimuovere la Croce che eliminare chi ad essa è più vicino?

Alberto Gentili

Gabriella Mambelli

Acqua, acqua!


Dopo aver invitato a portare bottiglie d’acqua sul sagrato del Duomo di Milano contro la decisione di far morire di sete Eluana Englaro, Giuliano Ferrara sarà oggi nel capoluogo lombardo per lasciare la sua bottiglietta. L’appuntamento, pensato dal settimanale Tempi, è alle 18.30, questa sera. Oltre ai direttori del Foglio e di Tempi, hanno aderito all’iniziativa il vicepresidente del Parlamento Europeo, Mario Mauro, il direttore di Avvenire, Dino Boffo, il portavoce del Comitato Scienza e Vita, Mimmo Delle Foglie, il presidente del Movimento per la vita ambrosiano, Paolo Sorbi e Felice Achilli, presidente di Medicina e Persona. Scienza e Vita, che ha iniziato anche una raccolta firme, farà lo stesso a Roma oggi dalle 15.30 in poi in piazza del Campidoglio: “Portare una bottiglia d’acqua per Eluana e dire no alla sua condanna a morte”.

da www.ilfoglio.it

16.7.08

COSA STA ACCADENDO A ELUANA E A NOI?



La ragione quando non accetta la categoria della possibilità diventa violenta. La morte fa veramente paura. E questa paura va allontanata. Va allontanata dagli occhi e va allontanata come esistenza fisica, come ricordo. Il problema che solleva
la Englaro è questo, non è un altro.

Incontro tenutosi a Lecco martedì 15 Luglio presso il Teatro Sociale. Intervengono:

Dott.ssa Claudia Mazzuccato, ricercatrice di Diritto Penale – Università Cattolica di Milano
Prof. Giancarlo Cesana, professore di igiene generale e applicata – Università degli Studi di Milano.

Per il video clicca qui.

Anche Celentano se n'è accorto...


Lettera al Corriere di Adriano Celentano, 16 luglio 2008

Caro Direttore,

certo non è difficile immaginare il grande disagio del padre di Eluana e il dolore che, giorno dopo giorno, ha potuto devastare il suo cuore nel vedere una figlia in quello stato. Dopo sette anni di dure battaglie per liberarla dalla morte, rassegnato all'impotenza, soprattutto da parte della scienza, la disperazione lo porta a iniziare una nuova battaglia, ma stavolta non contro la morte. Contro la vita. Quella vita che senza alcuna pietà tiene imprigionata la sua amata Eluana da 16 anni. Quella vita che non vuole cessare, ma che poco per volta fa morire di dolore chi gli sta intorno. Ed è proprio questo dolore così grande, troppo grande, che spinge il padre di Eluana a combattere perché qualcuno lo aiuti a liberare la figlia. Quella figlia che in un lontano giorno gli strappò una promessa: quella di interrompere ogni trattamento di sostegno, nel caso si fosse trovata nella situazione in cui, purtroppo ancora oggi, giace dopo 16 anni.

Una battaglia quella di Beppino Englaro che racchiude una contraddizione spaventosa, ma al tempo stesso, forse, il più grande gesto d'amore che un padre possa fare per una figlia. È chiaro che, per quanto mi riguarda, essendo un credente, nel senso che do per scontato che il nostro, qui sulla terra, nel bene e nel male, non sia che un misero microscopico passaggio in confronto a quella che sarà la vera Vita! Quella vita che Dio ci ha preservato nell'eterna Bellezza. E se poi penso alle parole di Gesù quando disse che «l'uomo non è padrone neanche di uno solo dei capelli che porta in testa», non posso che essere d'accordo con chi la difende, la vita.

Ammiro quindi Giuliano Ferrara per le sue battaglie a favore della vita e spero, pur comprendendo il suo stato d'animo, signor Englaro, che le bottiglie d'acqua in piazza del Duomo aumentino. Aumentino per far aumentare il dubbio. Il dubbio in coloro che credono di non avere dubbi e quindi di scartare a priori la possibilità di un'altra vita oltre quella terrena. Una vita diversa dove non ci sono bugie e incidenti ma solo gioco e Amore. Quell'amore che la sua amata figlia non ha fatto in tempo a conoscere. E qui, solo per un attimo, vorrei mettermi nei panni di chi non crede ed è amareggiato per la triste sorte di una figlia. Così mi chiedo se qualche volta, specie in casi come questi, a uno che non crede possa venire il dubbio, che magari potrebbe esserci davvero un qualcosa che va oltre l'aridità di questo attimo fuggente trascorso sulla terra. E allora, come padre, mi domando: forse Eluana vuol dirmi di non prendere in considerazione ciò che mi chiese in un momento di spensierata giovinezza?... Forse nei luoghi dove si trova ora non soffre e magari già intravede le meraviglie del cielo?... E se, contrariamente all'apparenza, si trovasse invece in uno stato di grande serenità, in attesa del trionfale ingresso nella vita celeste? O forse, chissà, di un ritorno a questa, di vita?... E poi ancora, la cosa che più di tutti mi domanderei: e se fossi proprio io a rattristare il suo animo, per il gesto che suo padre sta per compiere?... Certo mi rendo conto che è facile parlare per chi è al di fuori della tragedia, e io mi scuso per questo, signor Englaro. Ma la mia vuole essere in qualche modo una parola di aiuto, per chi si trovasse nella sua situazione. A volte i miracoli succedono proprio quando meno te l'aspetti. Forse Eluana ha bisogno della conversione di suo padre per far sì che la sua dipartita da questo mondo avvenga in modo spontaneo e senza alcuna interruzione. O addirittura che si svegli. Si dice che la fede è un dono. Perché solo attraverso la fede succedono le cose più grandiose, e io dirò una preghiera per lei.

Nessuna pietà

Ho visto gente piangere per l'abbattimento di animali domestici. Il gesto era giustificato dal fatto che essi erano diventati un peso per le strutture e un costo inutile nel budget complessivo. Adesso siamo di fronte ad una donna, ma la nostra umanità è come impallidita, assuefatta; incapace di vedere la stessa umanità che c'è in lei. E così nessuno piange. "E' un atto di pietà", riecheggia il mondo di etere e carta, ma nessuna lacrima, nessuna pietà.

13.7.08

ACQUA PER ELUANA

Dal Foglio di oggi:


Clicca sull'immagine per leggere l'articolo.

12.7.08

«L’agonia di Eluana sarà lunga e dolorosa»


da www.avvenire.it

Il neurologo che ha visitato la giovane: sta bene, per spegnersi impiegherà almeno 15 giorni

Eluana non morirà in fretta. Ci vorranno almeno due set­timane, dal momento della sospensione dell’alimentazione con il sondino, prima che la sua vita si spenga. Il corpo della gio­vane è infatti in buone condizio­ni grazie alle cure ricevute in que­sti 16 anni dalle Suore Misericor­dine della clinica lecchese « Tala­moni » . E per lei saranno giorni di sofferenza fisica.

Lo assicura Giuliano Dolce, 80 an­ni, direttore scientifico della cli­nica Sant’Anna di Crotone, scien­ziato di fama internazionale, uno dei luminari italiani nella cura de­gli stati vegetativi. Il quale preci­sa: «Non parlo per sentito dire. Ho visitato Eluana lo scorso gennaio, d’accordo con la famiglia e i le­gali. Ho visto che è stata curata bene e con molto affetto dalle suore. Per questo affermo che, quando le verrà tolto il sondino per l’alimentazione, ci vorranno almeno due settimane prima che arrivi la morte. Il suo sarà un viag­gio lungo, come accadde per la povera Terry Schiavo negli Stati Uniti qualche anno fa ».

Una persona in coma soffre se le viene tolta l’alimentazione?

«Si, la sofferenza fisica è scienti­ficamente provata nei pazienti in stato vegetativo. L’incredibile sen­tenza del tribunale di Milano pre­senta comunque diversi aspetti contraddittori dal punto di vista medico » .

Quali?

«A mio avviso la contraddizione scatta nel punto in cui viene co­munque imposta, oltre che un’in­dispensabile umidificazione fre­quente delle mucose con l’ovatta bagnata sulle labbra, anche una somministrazione di ' sostanze i­donee ad eliminare l’eventuale disagio da carenza di liquidi'. Tra­dotto, la paziente deve essere i­dratata per evitarle sofferenza. Quindi non morirà di sete, ma di fame. E voglio vedere dove tro­verà un posto che la ospiterà pr morire. Non è un caso di eutana­sia, perché, ad esempio, in Olan­da si essa viene praticata su un malato che soffre molto e negli ultimi giorni della sua esistenza e ne fa richiesta. Questo è un o­micidio e dal punto di vista deontologico per un medico è inac­cettabile » .

Il punto è: alimentazione e idra­tazione sono o no un atto tera­peutico?

«No. In Francia e Germania sono un atto dovuto per legge. In Italia la legge la sta facendo il tribuna­le di Milano e non il Parlamento e contrasta con quanto deciso dalla Commissione nazionale di bioetica. Eluana è come un neo­nato: se le togli il latte muore perché non è in grado di ali­mentarsi da so­la. Come si può dire che nutrir­la è un atto di cura? Clinica­mente non è malata, è un pa­ziente guarito con difetto » .

Cosa significa?

«La ragazza è in coma per una ce­rebropatia grave causata da un in­cidente stradale. Dopo un anno in medicina chi sopravvive è con­siderato clinicamente guarito. Quindi non viene più curato, ma sottoposto a nursing, cioè alla nu­trizione, alla riabilitazione passi­va quotidiana e alle cure che pre­vengono, ad esempio, le piaghe da decubito. Ma è guarito con di­fetto, nel suo caso gravissimo, perché non ha ripreso coscienza. Quindi va considerata una disa­bile, probabilmente sulla frontie­ra estrema della disabilità. La sen­tenza si basa sulle teorie di chi so­stiene che la vita in stato vegeta­tivo sia peggiore della morte. In­vece per me, che mi occupo di questi pazienti da molto tempo, è vita vera. Al momento la donna ha una sua vita sociale, è assisti­ta da una suora che le vuole bene e che quando la ragazza se ne an­drà probabilmente soffrurà mol­tissimo. La famiglia e gli amici la vanno a visitare, le fanno sentire affetto, non è sola. Non ci manda segnali, ma chi sa cosa prova in si­lenzio davanti a questo amore? » .

Possono provare emozioni i pa­zienti nelle sue condizioni?

«Certo. A Crotone, in 12 anni ab­biamo verificato le alterazioni provocate dall’ascolto della voce della mamma. In altri casi arros­siscono. Dipende dalle loro con­dizioni » .

Eluana Englaro è in stato vege­tativo da 16 anni. C’è un limite temporale oltre il quale non ci si risveglia?

«Non si può dirlo con cognizione scientifica. All’ultimo convegno mondiale sui danni cerebrali di Lisbona, in aprile, è stato citato il caso di un paziente statunitense che si è risvegliato dopo 18 anni. In letteratura ci sono molti e­sempi di persone risvegliatesi do­po molto tempo. Superati i primi due anni di coma, si può soprav­vivere a lungo. È superato il ter­mine di stati vegetativi ' perma­nenti' usato nella sentenza mila­nese, la definizione corretta è ' persistenti'. Perciò per la nostra professione l’esecuzione della sentenza è pericolosa, perché po­trebbe lasciare a qualcuno, me­dico o giudice, il potere di stabi­lire quando finisce la vita, var­cando frontiere etiche e di ci­viltà » .

Quanti sono i pazienti in stati ve­getativo in Italia?

«Diverse migliaia, impossibile stabilirlo in mancanza di una banca dati. Nel 2005 erano 2500, un terzo bambini. L’incidenza è di 1800 nuovi casi all’anno. La Lombardia ad esempio tre mesi fa ha approvato la creazione di 500 nuovi posti letto in hospice. Oltre ai pazienti in coma per trau­ma, ci sono quelli il cui cervello è rimasto danneggiato per man­canza di ossigeno, chi ha avuto un ictus, chi un infarto. Gli ulti­mi anni di vita dei malati di Alzheimer spesso vengono tra­scorsi in stato vegetativo. Dopo Eluana potrebbero verificarsi molti casi » .

Lei fa parte di un’associazione di bioeticisti laici e cattolici, «Vi.ve», vita vegetativa. Cosa farete?

«Prima di tutto faremo appello al procuratore generale della re­pubblica di Milano perché pre­senti ricorso contro la sentenza. Poi utilizzeremo tutti gli stru­menti giuridici disponibili contro il medico che eseguirà la senten­za » .

Il professore Giuliano Dolce è un luminare nella cura degli stati vegetativi. La giovane lecchese, spiega, morirà di fame e il dolore fisico in questi pazienti è dimostrato in maniera scientifica.

Questo, conclude, è omicidio

Vescovo Mantova al padre: Lasciala viva a chi la ama




da www.ansa.it

MANTOVA - Per anni parroco della famiglia Englaro a Lecco e oggi vescovo di Mantova, Roberto Busti lancia dalle colonne dell'edizione odierna della Gazzetta di Mantova un appello al padre di Eluana, Beppino: "Rispetto il suo dolore - dice - ma adesso che ha ottenuto dallo stato ciò che chiedeva, la possibilità cioé di avere in mano la vita di sua figlia, consegni questa vita a chi vuole amarla ancora lasciandola vivere così".

Busti ricorda che quando era parroco di San Nicola a Lecco spesso andava a trovare la ragazza nella clinica Monsignor Talamonti dove è ancora ricoverata. "Eluana - scrive il prelato - è seguita tuttora da una suora che ha ragione quando dice che quando si accarezza il volto di Eluana lei reagisce, e vive per conto suo, senza macchine".

Da qui la proposta del vescovo, una "sfida", come la definisce lui: "Si provi a misurare con le nuove tecnologie mediche se Eluana ha o non ha la capacità di recepire o reagire di fronte a persone che interagiscono con lei. Perché se reagisce e lo si dimostra scientificamente, allora Eluana è una persona viva". "Io non voglio giudicare Beppino - conclude il vescovo - rispetto il suo dolore ma gli dico anche di non caricarsi di un gesto che spaccherebbe ancora di più il suo cuore. Lasci Eluana dov'é, dove chi l'ha seguita e nutrita in questi anni continuerà a farlo ancora con amore".

11.7.08

Non chiamamola eutanasia…

da www.ilfoglio.it

Caro Direttore,
le vicende degli ultimi giorni impongono una certa chiarezza nell’uso dei termini, spesso fonte di una voluta confusione.

Paradossalmente direi per iniziare di non chiamare “eutanasia” quanto proposto per Eluana Englaro; la parola, sebbene appropriata, lascia l’idea di un confronto aperto nel dibattito pubblico, convincendo quindi il singolo cittadino di stare affrontando qualcosa di nuovo, qualcosa su cui pertanto è autorizzato a maturare una propria decisione. Per favore, chiamiamolo “omicidio” (di una persona malata): sull’omicidio pochi pensano di dover elaborare un proprio convincimento.
Non parliamo poi di “situazioni nuove causate dall’impressionante sviluppo della medicina tecnologica” riferendoci a quei dilemmi etici che non sappiamo risolvere a causa dell’impressionante sottosviluppo della nostra coscienza morale. Incapaci di comprendere la giusta grammatica della vita, di fronte al debole, al disabile, al diverso non riconosciamo più la sentenza esatta: “non apprezzo la sua vita” o “non ha prezzo la sua vita”?
Per favore, non chiamiamo Eluana “malata terminale”: Eluana non è terminale, proprio perciò si cerca il modo di terminarla, sospendendole il cibo e l’acqua. Senza cibo ed acqua parecchie persone effettivamente diventano terminali.
E, per favore, non chiamiamola “vegetale”, perché ci sono persone e famiglie che spendono la vita per curare figli, fratelli, parenti o sconosciuti nello stesso stato e non lo fanno per la medesima passione “di chi coltiva l’orto”. Per favore, non offendiamo la dignità di chi riconosce in questi malati la propria stessa dignità. E poi se Eluana non fosse più degna di vivere una vita considerata umana, perché tentare di darle una morte degna e umana?
Per favore, non chiamiamo “accanimento terapeutico” o “alimentazione forzata” il sostegno che le fornisce cibo e acqua: tanti genitori proverebbero insostenibili sensi di colpa e laceranti dubbi morali nello spendere tanto tempo con artificiali cucchiai che volano, rombando come aerei, nelle fauci riluttanti di figli inappetenti.
Per favore, non parliamo di “scelta autonoma” perché qui viene terminato qualcuno proprio perché autonomo non è più: l’autonomia semmai è di qualcun altro che emette sulla ragazza un proprio giudizio di valore. E non diciamo che la scelta va considerata come attuale, autonoma e valida perché fu espressa da Eluana in tempi non sospetti: anch’io avrò detto qualche volta ai miei figli “se un giorno ragiono come i radicali, abbiate pietà, uccidetemi”, ma questo – qualora quel caso pernicioso si realizzasse - non li autorizzerebbe realmente a farlo.
Infine, riconosco il dolore di un uomo distrutto, il buon signor Englaro; la Quercia Millenaria, associazione della quale faccio parte e che Lei direttore ben conosce, vive costantemente l’esperienza del dolore, proprio quello delle coppie che si trovano improvvisamente di fronte un figlio diverso dalle attese. Il figlio immaginato, il “bambino della notte”, la foto incorniciata, cede il posto ad una realtà in apparenza mostruosa. Eppure, aiutate e sostenute, queste persone vivono la loro esperienza come una grazia indimenticabile, come un’unica irripetibile occasione di essere pienamente madri e padri. Comprendo quindi il buon signor Beppino. Ma, in onestà, chiamiamo la sua “una scelta di dolore disperato”. Per favore, non chiamiamola scelta di amore.

Massimo Losito
Docente di Bioetica, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Consigliere de “La Quercia Millenaria ONLUS”

Massimo Losito, Roma

Se siamo in un vicolo cieco, almeno che sia sgombro e in discesa

Ascoltando certi discorsi mi sembra di essere tornato a qualche mese fa quando si parlava dei martiri non nati. Adesso la martire è una non morta (viva!), ma il punto è sempre lo stesso: l'annientamento della realtà carnale per la sopravvivenza di un sogno che non esiste. E il Principe esulta.

10.7.08

Non c’è nessuna spina da staccare


da www.ilfoglio.it

Sentenza di morte

Eluana Englaro respira da sola, tolto il sondino morirà di fame e di sete. Non ha espresso volontà in merito, i giudici invitano a dedurle dal suo “vissuto” e dai suoi “convincimenti etici"

Attorno a Eluana Englaro si affolla la compagnia della pessima morte. Perché è orribile la morte per fame per sete alla quale la ragazza in stato vegetativo dal 1992 è stata condannata con la sentenza emessa ieri dalla prima sezione civile della Corte d’appello di Milano. La sentenza autorizza, “con effetto immediato”, la sospensione della nutrizione e dell’idratazione con sondino della ragazza, per la quale il padre Beppino da tempo chiede di “staccare la spina”. Anche se non c’è nessuna spina da staccare. Eluana respira da sola, vive, forse sogna, nessuno può sapere cosa. C’è ancora, il suo stato è stabile. Vive, e la concretezza di quella vita è insopportabile per chi la considera già morta. Nessuna spina da staccare, dunque, ma interruzione di semplici attività di sostentamento (“sostentamento ordinario di base”, lo aveva definito il Comitato nazionale di bioetica) e cioè della somministrazione di acqua e di cibo: non un atto terapeutico (dunque nessun accanimento) ma semplice cura.

Il nostro ordinamento non prevede la pena di morte per chi non è in grado di mangiare e bere autonomamente. Poi, nello scorso ottobre, una sentenza della Cassazione ha stabilito che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare l’interruzione della nutrizione quando “la condizione di stato vegetativo del paziente sia apprezzata clinicamente come irreversibile, senza alcuna sia pur minima possibilità, secondo standard scientifici internazionalmente riconosciuti, di recupero della coscienza e delle capacità di percezione”. E, insieme, quando “sia univocamente accertato, sulla base di elementi tratti dal vissuto del paziente, dalla sua personalità e dai convincimenti etici, religiosi, culturali e filosofici che ne orientavano i comportamenti e le decisioni, che questi, se cosciente, non avrebbe prestato il suo consenso alla continuazione del trattamento”. Per chi non può esprimersi, vale quindi l’interpretazione, la suggestione, la sensazione di altri. Alla faccia del consenso informato, che viene chiesto per i più banali atti medici ma che pare si possa tranquillamente saltare se si tratta di comminare la morte per fame e per sete.

Il costituzionalista Aldo Loiodice, docente a Bari e a Roma, dice al Foglio che la sentenza di Milano “è abnorme, perché nega il principio primario del diritto alla vita. Non siamo di fronte al diritto di rifiutare le terapie e anche la nutrizione, attraverso una volontà liberamente espressa. In questo caso non c’è nessuna volontà, se non quella dei tutori della Englaro. E’ un fatto moralmente e giuridicamente inaccettabile. Viene invocato il diritto a uccidere una persona attraverso la negazione dei supporti minimi per la sua sopravvivenza. Quello di Eluana non è un corpo privo di valore, ‘è’ Eluana. E il suo tutore non può intervenire su diritti personalissimi, che non ammettono rappresentanza”.

Pietro Crisafulli, fratello di Salvatore, il ragazzo che si è svegliato dopo due anni di stato vegetativo, racconta al Foglio di aver commentato con Bobby Schindler, fratello di Terri Schiavo, “questa assurda sentenza. Siamo preoccupati per una decisione ingiusta che si basa su dichiarazioni non verificabili e che apre scenari neri per tutti coloro che si trovano nelle condizioni in cui si è trovato mio fratello”. Che ci sia da preoccuparsi lo conferma un commento del legale della famiglia Englaro, il quale giudica “paradossale che venga riconosciuto il diritto di rifiutare un trattamento medico a tutti tranne che a chi non può rifiutarsi proprio perché in stato vegetativo”. “Invasiva”, secondo questa logica grottesca, sarebbe la somministrazione di cibo e acqua a Eluana, mentre non sarebbe invasiva la decisione – presa da altri – di negarglieli.

Significa, secondo il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella, che “la decisione di porre fine a una vita umana non richiede dunque nemmeno quelle cautele che riguardano le normali volontà testamentarie su beni materiali”, mentre il Centro di Bioetica della Cattolica di Milano sottolinea che la sentenza della Corte d’appello “introduce un serio e grave problema deontologico nella medicina: sospendere trattamenti ordinari come quelli somministrati a un paziente in stato vegetativo a motivo di una decisione che non ha fondamento clinico, significa di fatto scardinare il dovere fondamentale del prendersi cura dei pazienti che non sono in grado di intendere e volere”.

L’associazione Scienza & Vita parla di “deriva culturale: che si consideri come criterio fondamentale l’esercizio dell’autonomia, anche laddove questa non possa più essere esercitata. E che, in nome di questa falsa autonomia, si metta in gioco anche quel rispetto per la dignità umana che proprio nella vita fisica trova la sua ragion d’essere”. Mentre Medicina e Persona accusa: Questa decisione su Eluana è una condanna a morte perpetrata per legge in nome della pietà. La decisione della Corte d’appello di Milano è gravissima ed è la dimostrazione del modo scorretto di operare in questi ultimi decenni di una parte della magistratura italiana, che si arroga il diritto di stravolgere le leggi, addirittura di crearle. Eloquente, a questo proposito, il commento di monsignor Rino Fisichella, presidente della Pontificia accademia pro vita, il quale si chiede “come sia possibile che il giudice si sostituisca in una decisione come questa alla persona coinvolta, al legislatore”. Mentre sottolinea che “Eluana è ancora una ragazza in vita. Il coma è una forma di vita e nessuno può permettersi di porre fine a una vita personale”.

I giudici milanesi fanno di più. Si spingono fino a dettare le procedure mediche che devono accompagnare Eluana alla morte (“occorrerà fare in modo che l’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiale con sondino naso-gastrico la sospensione dell’erogazione di presidi medici collaterali o di altre procedure di assistenza strumentale avvengano in hospice o altro luogo di ricovero confacente…”). Estrema beffa: il padre di Eluana può già ottenere la sospensione dell’alimentazione, mentre il procuratore generale ha due mesi per presentare appello. Per quella data, però, Eluana potrebbe essere già morta.