11.2.08

Into the wild


Non l’amore, i soldi, la fama. Non la giustizia o la fede, non una famiglia. Datemi la verità.

Per descrivere questo film ci vorrebbe una poesia o meglio ancora il silenzio. Ma come si fa a non dire niente?
Un gran film, finalmente. Sean Penn racconta un viaggio, che come tutti i grandi e piccoli viaggi è una vita intera. La storia di un’apparente fuga dal mondo e dalla società umanamente corrotta si rivela essere invece l’epopea di un uomo che, tentando di spogliarsi della menzogna che lo soffoca, si immerge nella ricerca di un senso che possa colmare la sua ansia di verità. Quest’avventura trova il suo spazio nella natura sterminata americana e non per una facile rivalsa ecologista (giudizi da giornale mediocre a vocabolario ridotto), ma per la promessa buona che il mondo creato porta dentro di sé. Come dice Gerard Manley Hopkins:

Generazioni hanno camminato, camminato, camminato;
e tutto è arso dal traffico; consunto, macchiato dalla fatica;

e porta il sudicio dell’uomo, e tramanda l’odore dell’uomo:
il suolo
è spoglio ora, né il piede, calzato, può sentirlo.

E, malgrado tutto questo, natura non è mai esaurita;

là, nel profondo delle cose, vive la più cara freschezza:
e benché le ultime luci siano scomparse dall’occidente oscuro,
oh!, il mio mattino sorge al bruno orlo dell’oriente.

La natura però non è sufficiente. E’ indomabile, crudele e la carne senza vita dopo un po’ marcisce. La ricerca di una libertà pura, slegata dagli uomini diventa così una ferita che tortura e corrode se non è lenita dal balsamo del perdono. L’uomo che fugge da uomini di cui non sente il bisogno si trova a condividere la vita di uomini che hanno bisogno di lui e solamente sul tragico epilogo capisce: "La felicità non esiste, se non è condivisa… ho avuto una vita felice, ringrazio Dio".

L’acuto dramma di quest’uomo realmente esistito (Christopher McCandless) è teneramente accompagnato dalla voce di Eddie Vedder che ruvida modella pianure e montagne, come un aratro che ferisce la gelida terra perché il seme possa dare il suo frutto.

Don't come closer or I'll have to go
Holding me like gravity are places that pull
If ever there was someone to keep me at home
It would be you...

8 commenti:

Giacomo ha detto...

Devo dire che questo film mi ha innervosito fino all'ultima scena, quando è comparsa sul grande schermo la vera protagonista, la Verità tanto cercata e tanto testardamente fin lì evitata, e tutto è stato improvvisamente illuminato da una nuova luce. Mi chiedo tuttavia dove siano il senso la necessità di intraprendere raccontare un percorso così insensato e anacronistico come quello di Alexander Supertramp: certo l'opera d'arte (il film è un capolavoro per gli occhi e per le orecchie) lo giustifica in parte. Forse però sono io che non riesco a mettermi nei panni di una persona così sola e così estremisticamente appassionata a sè e al proprio desiderio di felicità.

Giovanni Fasani ha detto...

Il senso sta proprio nella folle ricerca di un senso e nel suo estremo riconoscimento finale. Alexander Supertramp è domanda allo stato puro, testarda e quindi forse ideologica, ma profondamente umana. Infondo se nessuno risponde a quello di cui hai bisogno, perchè non andarlo a cercare?

fiammetta ha detto...

giova, mi hai proprio incuriosita, e sei molto ma motlo poetico; perciò, vado a vederlo al più presto e poi ti fò sapere. ciao, alla prossima, fiammi

Giacomo ha detto...

Non puoi dire: «se nessuno risponde a quello di cui hai bisogno, perchè non andarlo a cercare?», perché, se è vero nei confronti della famiglia di Supertramp, non è più vero rispetto alle 3 persone che nel film – in modo parziale, ingenuo, sentimentale, egoistico ma ultimamente sincero – hanno tentato di rispondere a Alexander. Ciò che mi ha innervosito è proprio il fatto che Supertramp, pur non sapendo cosa cerca ma intuendo che una qualche risposta ci sia, è ideologicamente chiuso alle risposte che gli si presentano lungo la strada e non è capace di condividere con gli altri la sua domanda. Ognuno ha la sua strada da percorrere, ma quella di Supertramp è per me troppo estremisticamente ideologica e in fondo sterile. Nonostante il finale di redenzione.

Giovanni Fasani ha detto...

Ero evidentemente provocatorio, comunque una posizione profondamente umana comprende anche la possibilità di sbagliare. Alexander Supertramp non ha incontrato in nessuno una risposta che bastasse e giustamente continua a cercarla. Il finale non può essere un "nonostante" perchè è ciò che dà senso alla sua folle ricerca rendendola vera e tragica allo stesso tempo

Giacomo ha detto...

«Alexander Supertramp non ha incontrato in nessuno una risposta che bastasse e giustamente continua a cercarla».
Quello che non mi convince, il motivo per cui non condivido le scelte di Alexander Supertramp e per cui le trovo anacronistiche è che mi viene naturale aggrapparmi agli spiragli di verità che mi si aprono davanti e continuare la ricerca in quella direzione, altrimenti non mi sposerei tra due mesi, perché se pensassi che nella mia fidanzata sta TUTTA la risposta al mio desiderio di verità, giustizia, bellezza, felicità sarei un illuso.
Mi spiego? Mi sembra che lui non si sia sporcato le mani con la vita, con l'altro. Non condivido la sua strada, non è la mia ma neppure credo sia insegnabile ad altri come metodo. Insomma, nonostante il finale, che rende sensata e tragicamente bella la sua vita, Alexander arriva a dimostrare il teorema per assurdo, e le dimostrazioni per assurdo non mi sono mai state simpatiche, fin dal liceo.

Giovanni Fasani ha detto...

Non sto dicendo che Alexander Supertramp sia un santo e neanche che la sua vita sia da prendere come esempio. Mi affascina il coraggio con cui prende seriamente in considerazione quello che desidera, anche se spesso in modo cieco e testardo.

GB ha detto...

Caro Alexander, è vero, i tuoi genitori, i tuoi amici, le persone che conosci nel tuo cammino non sono la verità, ma sono condizione fondamentalmente necessaria per comprenderla.

L'hai compreso alla fine...

"La felicità è reale solo se condivisa"

Tuo Amico
GB